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Cronaca

Coronavirus: il vaccino non sarà per tutti, ma di chi ha investito di più

La corsa contro il tempo per la produzione di un vaccino contro il coronavirus è già partita, ma se anche si riuscisse a portare sul mercato le dosi entro l’inizio del 2021, la cura non potrà essere immediatamente garantita a tutti. Solo chi ha investito di più in questa corsa potrà procedere per primo alla ripartenza.

La corsa alla produzione di un vaccino efficace e sicuro contro il coronavirus è aperta, ma quella per l’approvvigionamento delle dosi sarà ancora più agguerrita. Come riporta il Financial Times, infatti, è arrivata giusto oggi la condanna da parte della sottosegretaria all’economia francese, Agnès Pannier-Runacher, contro la produttrice Sinofi, impegnata nella realizzazione di un vaccino.

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Pare, infatti, che l’azienda francese abbia stretto una collaborazione tale con la Casa Bianca che gli USA saranno i primi ad avere diritto delle dosi prodotte quando sarà finalmente stata autorizzata la procedura di vaccinazione. Secondo quanto dichiarato all’agenzia Bloomberg da Paul Hudson, il CEO dell’azienda, “gli Stati Uniti avranno diritto all’ordinazione prioritaria più consistente, dal momento che hanno investito di più“.

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Ma per Emmanuel Macron questa è una situazione inaccettabile, poiché la salute e il vaccino “non dovrebbero essere soggetti alle leggi di mercato“, soprattutto davanti a un’emergenza sanitaria di così grave portata. Dello stesso pensiero, del resto, è anche la Commissione Europea, che ha sottolineato come “il vaccino contro il Covid deve essere un bene pubblico, e il suo accesso sarà equo e universale”.

Vaccino contro il Coronavirus: una corsa per essere primi

Ma concorrenza di mercato a parte, le dosi non basteranno comunque per tutti i pazienti e i cittadini del mondo, per tutti quei Paesi che ne faranno di richiesta. Considerando quanto avevamo già visto in merito all’estrema complessità di una produzione efficiente e rapida, oltre che delle comunque necessarie fasi di sperimentazione preliminari, se anche tutte le fabbriche coinvolte nella realizzazione del vaccino spingessero al massimo il loro ritmo, si riuscirebbe a portare sul mercato qualcosa come 5 miliardi di dosi all’anno.

Distribuite, appunto, in un lungo periodo nel quale i Paesi competeranno per aggiudicarsele per primi. Si passerà, allora, da una corsa al tempo a quella “allo spazio” (“la corsa allo sviluppo del vaccino è ormai come la corsa tra USA e Unione Sovietica alla conquista dello spazio”, scrive non a caso Brad Loncar), per la quale chi prima otterrà l’immunizzazione, prima potrà far ripartire a pieno regime la sua economia.

Una corsa all’essere primi, dunque. Una gara che Washington vuole giocare anche in casa, con 14 prototipi di vaccini all’attivo e le avviate sperimentazioni atte a far produrre, in piena emergenza, 300 milioni di dosi già entro gennaio 2021. Dosi che ovviamente non saranno esportate. E dall’Africa, intanto, si grida alla liberalizzazione dei vaccini, col volto oscurato dalla preoccupazione di conseguenze disastrose per il continente, se così non dovesse avvenire. “Vogliamo un vaccino per tutti. Non possiamo permetterci una monopolizzazione, una cruda competizione o un cieco nazionalismo” si uniscono al coro ben 140 leader del mondo, con un appello divulgato proprio oggi – e in cui compare anche la firma di Gordon Brown.

Ma il futuro, si prevede, non sarà dei più rosei: ancora una volta, questa lezione ce la insegna la storia. Durante la pandemia di influenza del 2009, i Paesi più ricchi acquistarono tutte le dosi di vaccino disponibili, mentre l’Australia autorizzò le esportazioni solo dopo aver immunizzato i propri cittadini. La cessione alle nazioni più povere venne ritardata, e nemmeno la politica di Barack Obama operò uno strappo alla regola. La priorità è sempre stata quella di far fronte alle esigenze interne.

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E oggi se ne può offrire già un paragone, se si tiene in considerazione quanto successo nel commercio dei ventilatori polmonari per la terapia intensiva. O anche di quanto accaduto con il commercio delle mascherine e altri dispositivi di protezione, più e più volte bloccati alle dogane. Anche nel caso del vaccino per il coronavirus, allora, le priorità saranno date alle necessità nazionali dei Paesi che per primi ne testeranno l’efficacia e ne produrranno o acquisteranno le dosi. Per questo, spiega il Financial Times, si tratta di una vera e propria corsa all’essere primi.

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