Dopo la cocente scottatura causata dall’insuccesso de I Fantastici Quattro, Josh Trank tenta di risollevare le sorti della sua carriera puntando sulla bravura mimetica di Tom Hardy, che in Capone interpreta lo storico mafioso statunitense di origine italiana, considerato un simbolo del gangsterismo americano.
Capone è il nuovo film scritto e diretto da Josh Trank, che arriva a distanza di cinque anni dal clamoroso flop (di critica e pubblico) de I Fantastici Quattro, che invece sarebbe dovuto essere il suo debutto nel cinema “mainstream” dopo il piccolo fenomeno cult di Chronicle. Il film racconta gli ultimi anni di vita di Al Capone, interpretato da Tom Hardy, che dopo dieci anni di prigione deve fare i conti con la demenza, il declino fisico e i sensi di colpa per gli efferati crimini commessi.
Capone | il nuovo film di Tom Hardy
Sembra immediatamente chiaro cosa venga considerato interessante del personaggio di Al Capone dall’attore che lo interpreta: il decadimento fisico e mentale di un uomo che ha vissuto sempre al di sopra di ogni regola e di ogni limite e che a soli 47 anni si trova costretto ad affrontare la demenza e il precoce invecchiamento del proprio corpo. È invece decisamente meno chiaro cosa interessi di questa storia al regista che ha deciso di metterla in scena. È la paranoia del vecchio criminale impazzito il punto centrale del film? Sembra, ma non lo è. È il suo immenso bottino segreto che tutti quelli che gli girano attorno cercano disperatamente di recuperare? Solo in alcuni momenti. È il difficile rapporto con i suoi figli? Mai veramente. Proprio questa eterna indecisione su quali argomenti affrontare è uno dei punti di maggiore debolezza del film.
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La rivincita di Josh Trank?
Per questo suo terzo lungometraggio, quello che doveva essere (sarà?) il “riscatto” dopo i dolorosi fischi ottenuti dal precedente Fantastici Quattro, Josh Trank non si “limita” a scrivere e dirigere l’opera, ma addirittura si occupa personalmente del montaggio, concedendosi spesso stacchi a sorpresa ed ellissi velocissime (che generalmente funzionano quando c’è qualcuno dalla mano sufficientemente salda per maneggiarli o un montatore abbastanza audace da sperimentare infischiandosene delle regole). E invece il montaggio di Josh Trank non è né audace, né funzionale alla narrazione, non riuscendo mai ai a dare un ritmo ad un film privo di avvenimenti realmente interessanti e appiattito su standard estremamente convenzionali (persino la demenza senile messa in scena attraverso visioni di personaggi che in realtà non sono lì con il personaggio).
Un gangster senza carisma
A differenza del suo Bronson, Tom Hardy, che comunque si impegna tantissimo, non riesce mai a delineare una personalità unica per il suo personaggio, ma invece la riprende da quella che è la concezione cinematografica classica del boss alla fine dei suoi giorni, ancora violento e desideroso di contare qualcosa, ma in realtà affaticato ed impotente. Così Capone di Josh Trank è noioso quando tenta la svolta “onirica” e decisamente poco interessante quando invece cerca, più tradizionalmente, di raccontare una personalità importante in un momento delicato della sua esistenza.