Silvia Romano è tornata a casa, nel suo quartiere: via Casoretto, Milano. Ad aspettarla amici, parenti e vicini di casa che l’hanno accolta e festeggiata.
Momenti di serenità dopo mesi di paura: Silvia Romano, o meglio Aisha, così come ha scelto di chiamarsi dopo la sua conversione all’Islam, ha riassaporato il sapore di casa. Dopo essere sbarcata a Roma, la 24enne è rientrata a Milano, la sua città. Ad attenderla, oltre ad una moltitudine di giornalisti e fotografi anche amici, parenti, vicini di casa, conoscenze di quartiere che l’avevano vista crescere e che in questi mesi sono stati con il fiato sospeso, in attesa di una buona notizia: che alla fine è arrivata. Un lungo applauso l’ ha accolta, non appena arrivata nel suo quartiere. Partita in auto da Roma in mattinata, Silvia ha raggiunto Milano insieme alla famiglia. Il suo territorio, le strade dove è cresciuta, le persone che l’hanno vista crescere l’hanno riabbracciata con entusiasmo ed affetto.
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La mattina, prima di partire, Silvia è stata ascoltata dal pm Sergio Colaiocco, responsabile dell’antiterrorismo della procura di Roma e gli ufficiali dei carabinieri del Ros. A loro ha raccontato i mesi della sua prigionia: dal momento del rapimento ai viaggi – molto lunghi – che l’hanno portata ad attraversare il confine tra Kenya e Somalia insieme con i suoi rapitori per poi dirigersi verso i diversi nascondigli nei quali ha vissuto in questo periodo . “I primi tempi non ho fatto altro che piangere, poi però mi sono fatta coraggio e ho trovato un equilibrio interiore“ ha raccontato Silvia, che ha parlato anche della sua conversione: “Piano piano è cresciuta dentro di me una maturazione che mi ha convinto a convertirmi all’Islam. Ci sono arrivata lentamente, più o meno a metà prigionia, non è stata una svolta improvvisa”. Da qui anche la scelta di cambiare nome: Aisha, come la moglie favorita di Maometto. Nella lunga narrazione della prigionia – è durato circa quattro ore il colloquio con gli inquirenti – Silvia/Aisha ha dichiarato di non aver mai subito alcun tipo di violenza né fisica né psicologica e di essere stata trattata bene dai suoi rapitori, anzi coloro che l’avevano acquistata dai suoi rapitori. La cooperante infatti avrebbe trascorso i suoi 18 mesi di prigionia sorvegliata dal gruppo terroristico islamista Al Shabaab. Ora non le resta che godersi l’affetto di chi le vuole bene: un aiuto enorme a superare il trauma del rapimento e anche ad ascoltare il meno possibile le tante cattiverie che vengono pronunciate sul suo conto in questi giorni.