La ragazza tornata ieri in Italia ha raccontato i suoi 18 mesi di prigionia. “Il primo mese è stato terribile – ha raccontato Silvia Romano – . Mi hanno rassicurato che non mi avrebbero fatto del male”.
Il giorno del ritorno in Italia è stato particolare per Silvia Romano. C’era ovviamente tanta emozione e commozione per il suo sbarco a Roma, circa 18 mesi dopo la notizia del suo rapimento. L’attivista italiana, però, è stata al centro di diverse discussioni per alcune novità che hanno riguardato la sua vita, proprio in merito al rapimento. La sua conversione all’Islam ha fatto discutere e non poco, soprattutto l’opinione pubblica. E tutto questo è finito al centro del faccia a faccia con il pubblico ministero Sergio Colaiocco e i carabinieri del Ros, al quali Silvia Romano ha raccontato la sua prigionia.
Durante il confronto, Silvia ha raccontato di aver chiesto ai suoi carcerieri un quaderno in cui annotare tutto ciò che le passava per la mente. Ovviamente, i primi tempi sono stati molti complicati per lei: “Ero disperata, piangevo sempre. Il primo mese è stato terribile. Mi hanno detto che non mi avrebbero fatto del male, che mi avrebbero trattata bene. Ho chiesto di avere un quaderno, sapevo che mi avrebbe aiutata”. Da qui, la prigionia è stata sempre meno violenta e si è trasformata quasi in una convivenza. Ma nel frattempo i rapitori portano Silvia Romano fuori dal Kenya, complicando e non poco le sue ricerche.
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Silvia Romano ha fatto capire di non aver mai subìto violenza e di non essere mai stata picchiata. “Non sono stata costretta a fare nulla. Mi davano da mangiare e quando entravano nella stanza i sequestratori avevano sempre il viso coperto. Parlavano in una lingua che non conosco, credo in dialetto”. Ma quel quaderno non le bastava, e così ha deciso di chiedere il Corano. Qui, in maniera del tutto spontanea, inizia il viaggio di Silvia Romano nei meandri dell’Islam. “Leggevo il Corano, pregavo. La mia riflessione è stata lunga e alla fine è diventata una decisione”, ha detto.
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E poi ci sono state le testimonianze sulle sue condizioni di salute. “Durante la prigionia ho girato tre video”, ha raccontato Silvia, la quale è venuta a sapere che uno di questi video, girato intorno alla data dell’anniversario del suo rapimento, è giunto regolarmente a destinazione. Una situazione che restava comunque complicata, visto che la sua prigionia avveniva in territori falcidiati dalla guerra civile. “Venivo spostata ogni tre, quattro mesi, ma a quel punto non avevo più paura”. E alla fine sono stati sei i luoghi diversi in cui Silvia Romano è stata segregata. Fino al giorno della sua liberazione, in cui lei stessa aveva capito “che i rapitori volevano soldi”.
Ma adesso Silvia Romano è a casa, e dovrebbe contare solo questo.
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