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Cronaca

Unione europea, Mario Monti: “L’Ue diventa irrilevante se non è più unita”

In occasione del 70esimo anniversario della dichiarazione di Schuman Mario Monti ha rilasciato un’intervista all’Huffington post: Recovery Fund, Mes, Ue e rapporto con Usa e Cina.

(Foto di Olly Scarf, da Getty Images)

L’ex premier ed ex commissario europeo Mario Monti in un’intervista all’Huffington post parla di Europa, politica estera e asset strategici. Ne emerge un quadro poco rassicurante: secondo Mario Monti l’Europa, così disunita, rischierebbe di rimanere schiacciata tra le due superpotenze attualmente in campo: Usa e Cina. A questo punto, secondo Monti, l’Ue dovrebbe innanzitutto recuperare una linea politica condivisa e comunitaria, perché “l’Europa diventa irrilevante se non è più unita”. Rispetto a 70 anni fa, anno della dichiarazione di Schuman, la situazione internazionale sembra un po’ richiamare i toni da guerra fredda. La Russia è ancora lì e sempre ostile all’Europa, anche se con pressioni meno “militari”. Dall’altro lato, dice Monti, “gli Usa con Trump sono diventati anch’essi ostili, se non ai Paesi europei, certamente alla loro integrazione nell’Ue. Sia Trump che Putin vogliono un’Europa meno integrata e perciò appoggiano i sovranisti. Temono un’Europa più unita e quindi più forte, un’Ue che sul piano economico e tecnologico competerebbe seriamente con Usa e Cina”. Insomma, l’Europa fa paura solo se unità. Per questo, dice Mario Monti, è necessario fare i conti con i fatti: la sovranità nazionale di ogni Stato membro in politica estera sta scomparendo sempre più da tempo ormai. E allora secondo Monti è necessario fare un passo avanti: “Se gli Stati assegnassero all’Ue il compito di fare una politica estera comune, l’Ue avrebbe un grande spazio nell’influenzare le scelte globali: per il multilateralismo e contro la legge del più forte; per un capitalismo più democratico e responsabile, con minori disuguaglianze; per la lotta al cambiamento climatico e la sostenibilità; per una regolazione efficace delle grandi piattaforme digitali e contro le loro improprie intrusioni nella privacy e nelle scelte politiche dei cittadini”.

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In secondo luogo lo sforzo dovrebbe essere quello di recuperare un asse transatlantico con gli Usa ed utilizzare sulla Cina “quel certo ascendente che il modello europeo di capitalismo, di economia sociale di mercato, esercita sui cinesi”. Insomma, oltre a una politica interna coesa, è necessaria anche una linea economica legata al modello europeo di capitalismo, una linea da condividere con gli Usa, per proteggersi dalla superpotenza della Cina. E questo nonostante le difficili trattative che l’Ue dovrebbe intrattenere con Trump. Infatti Mario Monti afferma: “E’ essenziale, benché non facile. In primo luogo, neppure Trump sarà politicamente eterno. E anche con lui alla Casa Bianca, l’Amministrazione americana è più pragmatica, meno ignara di storia, meno unilateralista. Inoltre, e soprattutto, c’è molto da lavorare con la società civile, con le istituzioni culturali, con il mondo dell’economia. E’ anche in quegli ambiti che si nutre un asse transatlantico, basato su una comunanza di valori tra Europa e America che resta fondamentale. Certo, l’Europa diviene irrilevante se non è più unita”. E’ necessario, quindi, fare il passo prima che l’Europa si sgretoli, perché a quel punto Trump perderebbe ogni interesse a trattare con un’Europa che, tra l’altro, ha ancora una difesa troppo fragile. Dall’altro lato, è necessario proteggersi dalla Cina. A quel punto la nostra “economia sociale di mercato” potrebbe diventare un jolly da giocare sia con gli Usa sia con la Cina. Anche la Cina potrebbe trovare conveniente trattare con la nostra economia. La distanza tra l’economia socialista della Cina e “il più selvaggio capitalismo americano” è ancora notevole. Ma Mario Monti ribadisce: “E’ necessario però che i Paesi europei non procedano in ordine sparso”.

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(Foto di Jochen Zich Pool, da Getty Images)

E allora si passa alle note dolenti della discussione europea, partendo dal Recovery Fund. Il Recovery Fund consiste in un fondo con il compito di emettere i recovery bond, ponendo a garanzia direttamente il bilancio Ue. In questo modo la condivisione del rischio sarebbe comune solo guardando al futuro. Il che esclude una vera mutualizzazione sul debito passato. A tal proposito Mario Monti afferma: “Anzitutto, trovo giusta la scelta di Ursula von der Leyen di far confluire il progettato Recovery Fund nel suo alveo naturale, il bilancio dell’Ue. Certo, è importante che il Recovery Fund venga costruito in modo da essere adatto a sostenere la ripresa post-Covid 19 e che il suo importo sia all’altezza della sfida. L’accordo non sarà facile, ma la strada è quella giusta”. Questa linea permetterebbe anche una nascita “fisiologica” degli eurobond. Nessuno assumerà sulle spalle debiti altrui, ma si raccoglieranno fondi comuni, la cui destinazione sarà decisa di comune accordo.

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Poi un altro punto di discordia, il Mes. In genere l’ex premier riconosce la velocità dell’Europa che in pochissimo tempo ha varato una pacchetto di provvedimenti e strumenti economici importanti, tra Sure, Bai e Mes. Riguardo al Mes Monti sottolinea: a favore del fondo ci sono, oggi, anche Paesi Ue che la troika l’hanno provata sulla loro pelle. Tutti d’accordo tranne uno, l’Italia. Quella stessa Italia che durante la crisi del 2010-2012 si oppose fermamente alla sua adozione, nonostante la profonda crisi che la travolse. L’Italia riuscì ad evitare il vecchio Mes grazie a una consistente riforma interna del regime fiscale. “In quel Paese, l’Italia, proprio gli unici due partiti che allora si opposero all’impegno unitario che evitò il default (cioè Lega e M5S, più Fratelli d’Italia, che allora all’interno del Pdl di Berlusconi sostenne il governo) sono quelli che ora vedono il Mes come la quintessenza del male”. Oltretutto, ora si parla di un nuovo meccanismo. Il nuovo Mes sarà dunque senza sorveglianza rafforzata sugli Stati. L’unico controllo riguarderà la destinazione delle spese. Ma, finita l’emergenza, il Patto di stabilità e crescita tornerà attivo. Come affrontare questa riattivazione, che potrebbe tagliare le gambe a un’Italia già profondamente depressa? “Questo è un problema reale, ma del tutto indipendente dalla questione Mes. A meno che Salvini, Meloni e i 5 Stelle recalcitranti dicano che non vogliono il ricorso al Mes perché si tratta pur sempre di debito, anche se a condizioni di estremo favore. Ma se quelle spese sanitarie devono essere fatte, e non si vuole il Mes, le vie sono due: o ugualmente nuovo debito ma con il mercato (con circa 6 miliardi in più di interesse, su dieci anni), oppure niente nuovo debito bensì copertura con imposte di tutte le spese per la sanità. Allora mi permetterei di dire loro che, in questa fase, ‘l’austerità da orgoglio sovranista’ che essi implicitamente propongono sarebbe più dannosa dell’austerità, allora purtroppo indispensabile, che si sono rifiutati di appoggiare nel 2011-2012″. Insomma: o il Mes, o nuovo debito a interessi più alti, o più tasse.

 

 

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