Corte Cassazione: “Mia moglie mi tradisce”, ma l’accusa è falsa e viene condannato

La Corte di Cassazione ha condannato un uomo per aver denunciato falsamente: “Mia moglie mi tradisce”. L’accusa è di calunnia e diffamazione, stando a quanto riporta La Stampa.

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(Foto di Andreas Solaro, da Getty Images)

E’ netta la sentenza della Corte di Cassazione: un uomo ha presentato una denuncia falsa nei confronti della moglie separata, è stato considerato colpevole ed è stato condannato. Per i giudici a gravare è soprattutto l’offesa arrecata alla reputazione della donna, alla quale era stata attribuita una falsa relazione extraconiugale.

Per fare ordine: i due coniugi, ormai in separazione, si trovavano già in uno stato di guerra dichiarata. Ma l’uomo sembra esser andato un po’ oltre. L’attribuzione di una inesistente relazione extraconiugale ai danni della moglie non è stata accolta con clemenza dalla Corte di Cassazione. Le falsità dell’uomo lo hanno portato, più nello specifico, a una condanna per diffamazione (Cassazione, sentenza n. 13564/20, sez. VI Penale, depositata il 4 maggio).

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I giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, avevano già concordato in un punto: l’uomo può esser ritenuto colpevole dei delitti di diffamazione e di calunnia in danno della moglie separata. Ad aggravare la situazione, un elemento: i delitti imputati all’uomo sono stati commessi attraverso una regolare denuncia, poi risultata falsa. Non esistendo alcuna prova delle accuse mosse dal marito, la denuncia può esser considerata una vera e propria diffamazione. A quel punto l’uomo ha provato a fare un passo indietro. Secondo l’uomo si sarebbe in presenza di una “difficile configurabilità della lesione alla reputazione della persona offesa”. Insomma, è stato detto il falso, ma questo non ha comportato gravi conseguenze ai danni della donna.

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(Foto di Andreas Solaro, da Getty Images)

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I giudici della Cassazione, invece, insistono su un punto: è indubbia la “falsità delle accuse formulate dall’uomo nella denuncia a carico della moglie”. Stando così le cose, è anche evidente la “calunnia derivante dalla formulazione nei confronti della persona offesa di accuse prospettate in termini volutamente diversi da quanto accaduto realmente e dunque non spiegabili soggettivamente sulla base di diversi apprezzamenti del reale”.

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Oltre ad aver confermato che l’uomo ha dichiarato il falso, i giudici concordano anche su un altro elemento: la diffamazione è stata subita dalla donna e ha avuto conseguenze. C’è stato a carico della donna “ingiustificato addebito di intrattenere una relazione extra-coniugale con un altro uomo”. Questo ingiustificato addebito sarebbe “intrinsecamente idoneo a vulnerare non l’opinione che la persona offesa ha di sé, bensì, oggettivamente, l’apprezzamento da parte della storicizzata comunità di riferimento del complesso dei valori e delle qualità che la vittima esprime, quale dinamica sintesi della sua dignità personale, apprezzamento cui si correla la lesione dell’altrui reputazione, che integra il delitto di diffamazione”.

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