Il caso sulla gestione dell’emergenza coronavirus nelle Rsa svela scenari sempre più inquietanti, soprattutto per quanto riguarda il Pio Alberto Trivulzio: emerge una lettera datata 28 marzo in cui il direttore generale del Trivulzio intimava di “evitare di sprecare le mascherine”.
Le indagini sulla gestione dell’emergenza coronavirus nelle Rsa proseguono e molte sono le denunce giunte in questi giorni alla Procura di Milano. Le denunce arrivano soprattutto da dipendenti e parenti degli ospiti del Pio Albergo Trivulzio, al centro dello scandalo. Ora emerge anche un altro dettaglio: il direttore generale del Pio Albergo Trivulzio avrebbe scritto, in una lettera datata 28 marzo, di evitare lo spreco delle mascherine. Fine marzo, oltre un mese dopo lo scoppio dell’epidemia. Secondo il direttore generale, l’approvvigionamento di mascherine risultava ancora “particolarmente difficoltoso”. Per questo il Pio Albergo Trivulzio avrebbe scelto “di evitarne lo spreco laddove non necessario”. La disponibilità di mascherine era invece favorita “già dal 23 febbraio, laddove il personale sanitario è invece chiamato ad operare utilizzando aerosol, e con pazienti e ospiti con sintomatologie respiratorie e/o febbrili”. E’ quanto si legge nella lettera datata 28 marzo a firma del direttore generale del Trivulzio Giuseppe Calicchio e indirizzata ai rappresentanti sindacali dei lavoratori. Un ulteriore elemento da aggiungere all’indagine su Giuseppe Calicchio, indagato per epidemia e omicidio colposi. Nella lettera il dg specificava a proposito dei dispositivi di protezione: “L’Azienda non può che attenersi scrupolosamente alle disposizioni emanate a livello nazionale e regionale, che fanno espresso riferimento alle disposizioni impartite dall’Organizzazione mondiale della sanità”. Secondo Calicchio, dunque, a impedire la diffusione di dispositivi di protezione sarebbero stati la scarsità di mascherine e le norme in vigore.
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Ma non finisce qui. Stando a quanto emerso di recente, il “17 o il 18 marzo” Giuseppe Calicchio “avrebbe intimato a un infermiere del reparto Bezzi di togliersi la mascherina, minacciandolo, in caso di rifiuto, con l’immediato licenziamento”. E’ quanto si evince da una denuncia ai Pm fatta da Franco Ottino, infermiere del Pat e sindacalista Cisl. E ancora: nella denuncia emerge anche che, in data 13 marzo, i lavoratori avevano presentato una lettera sulla mancanza di mascherine. In quell’occasione il direttore generale parlò di “puro allarmismo“. Lettera allegata. Sono tante le prove a disposizione dei Pm, tra lettere di diffida dei sindacati, risposte della direzione generale e bollettini interni del Trivulzio. Il quadro che emerge è sconfortante: sono state tante e gravi le carenze nella “gestione della salute e sicurezza all’interno della struttura”. E molte di queste carenze riguardano proprio la fornitura di dispositivi di protezione. Soprattutto se già a fine febbraio, scrive Ottino, “il personale era perfettamente consapevole di poter rappresentare un potenziale vettore del virus”. L’11 marzo lo stesso sindacalista scrisse “una missiva indirizzata alla Direzione della Rsa”. Nella missiva veniva segnalato: gli operatori erano “impossibilitati a mantenere la distanza di sicurezza inferiore a quella prevista dalle disposizioni dell’Oms”. Il 13 marzo la risposta di Calicchio: “Nessuna disposizione nazionale o regionale è disattesa o sottovalutata e la mancata applicazione di regole dettate da puro allarmismo, piuttosto che da competenza, non è evidentemente mancanza di tutela per gli operatori”.
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Nel frattempo l’indagine prosegue anche sulle denunce dirette, oltre che su lettere e altri documenti. E arriva un’altra denuncia, questa volta da parte di un’infermiera che, difesa dall’avvocato Anna Liscidini, avrebbe evidenziato “carenze organizzative” sul piano “dell’efficace isolamento dei nuovi pazienti” e sulle prassi “di contenimento e distanziamento interne ai reparti”. Al momento del primo caso sospetto, afferma l’infermiera, ciò che destava preoccupazione “era il fatto che l’anziano ricevesse spesso visite dai parenti, tutti provenienti da Comuni limitrofi” alla zona rossa del Lodigiano. Poi gli spostamenti tra reparti di pazienti non sottoposti al tampone. E poi, un’altra volta: il 14 marzo una dottoressa, assieme ad alcune caposala, “disse alle infermiere di non indossare le mascherine per non creare scompiglio tra i degenti”.
Si aspetta dunque il decorso delle indagini, ma non sono escluse sorprese. Nel frattempo il virologo e supervisore scientifico della struttura assistenziale milanese Fabrizio Perigliasco ha informato: l’inchiesta è doverosa, ma si tratterebbe di “panna montata”. E fornisce i dati: su 900 ospiti del Trivulzio, il 34% è risultato positivo al tampone. Perigliasco aggiunge: “Molti di loro sono in ottime condizioni, molti altri risultano asintomatici o con patologia assolutamente lieve. Sono in corso indagini sierologiche sugli operatori e per il momento l’11% è positivo alla presenza di anticorpi. L’assenteismo del personale è aumentato rispetto alla media stagionale, ma solo l’8,5% è positivo al Covid. Valori anche in questo caso assolutamente comparabili al dato nazionale complessivo delle strutture sanitarie”.