Ai David di Donatello 2020 hanno trionfato, come da pronostici, i due grandi favoriti della vigilia: Il Traditore di Marco Bellocchio, premiato come Miglior Film, e Pinocchio di Matteo Garrone. Cosa ci dicono i premi sul cinema italiano di oggi?
I premi di David di Donatello 2020 hanno registrato il trionfo del film Il Traditore, che ha conquistato, oltre al riconoscimento più ambito per il Miglior Film, anche i premi per Miglior Regista, assegnato a Marco Bellocchio, e quello per il Miglior attore protagonista, andato a Pierfrancesco Favino. Nelle categorie tecniche ha invece dominato Pinocchio di Matteo Garrone.
David di Donatello | ha vinto la tradizione?
Nella più classica tradizione dei premi cinematografici all’italiana, un film ha portato a casa tutti i premi più importanti (Il Traditore di Bellocchio) e un altro tutti i premi tecnici (Pinocchio di Garrone). Nella seconda categoria, ad esempio, è uscito quasi a mani vuote il coraggioso Il Primo Re di Matteo Rovere (che già con Veloce Come Il Vento aveva vinto solo premi tecnici e che sicuramente con il suo nuovo film ambiva a qualcosa di più, ma i votanti non sono stati dalla sua). Sono tanti i film che “dimenticati” e che invece avrebbero meritato altra considerazione, specialmente per il tentativo di sperimentare qualcosa di nuovo. Stupisce ad esempio la poca attenzione riservata a Suspiria di Luca Guadagnino, candidato in alcune categorie in cui la sua superiorità era netta, ma non è bastata (fa quasi ridere il fatto di aver preferito votare Diodato anziché Thom Yorke, autore della colonna sonora del remake firmato da Guadagino).
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Gli esordienti
La categoria degli esordienti sicuramente è stata rappresentativa sia di un grande fermento (per fortuna!) del cinema italiano, sia del metodo con cui i votanti hanno espresso le loro preferenze. Nella categoria “Opera Prima” comparivano Leonardo D’Agostini, regista de Il Campione (un rarissimo esempio di film italiano sullo sport vero, realizzato bene, con i tempi giusti e persino con un uso adeguato e maturo degli effetti speciali), Carlo Sironi, regista di Sole (l’esordio d’autore più importante dell’anno), Igort, regista di 5 è il numero perfetto (non un film memorabile, ma comunque un tentativo di battere una strada poco seguita in Italia) e Marco D’Amore con L’Immortale. A vincere è stato Phaim Bhuiyan con il suo Bangla, certamente il film più tradizionale e meno sorprendente tra quelli candidati.
La categoria documentario
Anche la categoria dedicata al genere del “documentario” fa ben sperare per lo stato di salute del nostro cinema: candidati erano infatti Citizen Rosi di Didi Gnocchi e Carolina Rosi, Fellini fine mai di Eugenio Cappuccio, La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari di Simone Isola e Fausto Trombetta e infine Selfie di Agostino Ferrente (che si è portato a casa il riconoscimento). Poteva tranquillamente vincere qualsiasi altro film tra quelli candidati (tutti puntavano, giustamente, sul capolavoro ironico e dissacrante di Franco Maresco, spietato documentario sulla periferia di Palermo valorizzato da uno splendido lavoro sulle immagini) e nessuno avrebbe avuto nulla da dire in contrario.