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Cronaca

Ue, aiuti pubblici anche per imprese italiane con sedi ad Amsterdam

L’Ue boccia la proposta di escludere da contributi statali le società con sedi nei principali paradisi fiscali. Tra i Paesi che hanno deciso per l’esclusione: Francia, Danimarca e Polonia. Ma per l’Ue è contrario al principio di libera circolazione dei capitali. Tra le imprese italiane con sede ad Amsterdam: Fca, Ferrero, Mediaset, Eni, Enel, Luxottica.

(Foto di Miguel Medina, da Getty Images)

 

Per l’Ue escludere da aiuti pubblici imprese con sedi nei paradisi fiscali è contrario al principio di libera circolazione dei capitali. Non sono d’accordo Francia, Danimarca e Polonia, che sono anzi intenzionate ad applicare una stretta in tal senso. Anche l’Italia dovrebbe pensarci, visto che i gruppi italiani che hanno sede o filiali nei Paesi Bassi sono molti. Soprattutto ad Amsterdam. Tra questi: Fca, Ferrari, Mediaset con sede legale, la Exor della famiglia Agnelli con la sede fiscale. Tra le aziende con sedi ad Amsterdam anche alcune tra le più grandi partecipate italiane: Eni, Enel, Saipem. Poi Luxottica, Ferrero, Illy, Telecom Italia, Prysmian e Cementir. Campari ha invece già avviato il processo di trasferimento. Per quanto riguarda le banche, invece, tendenzialmente gli spostamenti riguardano Irlanda e Lussemburgo.

A tal proposito la Commissione opta per un’inclusione di queste aziende all’interno degli aiuti statali. Proprio in questi giorni ha sancito che i piani di salvataggio pubblico adottati a causa dell’emergenza Covid non possono escludere chi ha la sede in un altro Stato.

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La questione potrebbe creare problemi soprattutto nelle zone grigie, nei cosiddetti paradisi non dichiarati. Ad esempio l’Olanda non fa effettivamente parte della lista dei paradisi fiscali stipulata dall’Unione europea. Si tratterebbe però di un’esclusione di pura forma. Per quanto riguarda i regimi fiscali, l’Ue avrebbe bisogno dell’unanimità di consensi qualora volesse apportare modifiche. Consensi di certo non arrivati da Olanda e Lussemburgo. A loro volta, i Governi di Olanda e Lussemburgo non sono certamente incentivati dalle grandi aziende dei loro Paesi a un qualsiasi tipo di cambiamento. Inoltre, formalmente le aliquote fiscali dell’Olanda non sono tanto diverse da quelle di molti altri Paesi europei. I prelievi sono però estremamente ridotti o inesistenti se si parla di dividendi, guadagni da cessioni di partecipazioni, interessi incassati da prestiti infragruppo, royalties. In aggiunta a questo, l’Ocse non rende pubblici dati fiscali dei Paesi in questione, a causa del veto dei Paesi membri. Questo rende delle zone grigie nelle quali si sospetta in quei Paesi un regime fiscale facilitato, ma tutto resta al piano ipotetico, seppur probabile.

Eppure stime chiare: è un esodo di capitale

(Foto di Miguel Medina, da Getty Images)

Un dato lo si conosce, però: circa 72 miliardi di euro di profitti aziendali finirebbero in Olanda. E si tratta di profitti aziendali che, in teoria, apparterrebbero ai diversi Paesi membri. Di questi profitti una parte consistente rimane alle multinazionali, ma sono ben 10 miliardi di euro quelli immessi nel fisco olandese. E’ Gabriel Zucman, economista esperto in materia, a ipotizzare le stime sulla base di diversi calcoli matematici. Per quanto riguarda l’Italia: a causa della delocalizzazione delle aziende in Olanda, l’Italia perde ogni anno 30 miliardi di euro che finiscono in Olanda. Di questi, più di 3 miliardi vengono risucchiati dal fisco olandese. La sottrazione al fisco italiano è di quasi un miliardo di euro all’anno. In Olanda quasi il 40% del gettito da tassazione sui profitti di impresa è riconducibile a questo meccanismo.

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E come spiega Misha Maslennikov, consulente di Oxfam Italia in tema di fisco: “Accordi fiscali riservati permettono di ridurre la tassazione. Destano preoccupazione gli accordi fiscali riservati che i Paesi Bassi, come anche altri Paesi Ue, hanno siglato e continuano a siglare con le imprese multinazionali che verosimilmente permettono di ridurre in modo consistente il livello effettivo di tassazione delle corporation”. “L’Olanda”, continua Maslennikov, “ha inoltre in essere un ampio network di convenzioni fiscali con altri Paesi che hanno natura particolarmente restrittiva, permettendo un abbattimento significativo delle aliquote sulle ritenute alla fonte per diverse fattispecie di reddito d’impresa che fluiscono verso Amsterdam”.

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Un altro dato dovrebbe confermare il regime fiscale quanto meno ambiguo dell’Olanda. La Tax Justice Network stila una classifica di pratiche fiscali scorrette o ambigue. I Paesi Bassi vengono solo dopo Isole Vergini, Bermuda e Isole Cayman. Il calcolo viene fatto sulla base di un rapporto tra risorse possedute da una società in un certo Paese e gli utili realizzati nel Paese dal regime fiscale opaco. In questo caso la discrepanza è gigantesca: ogni dipendente lussemburghese genera oltre 8 milioni di euro di profitti. Uno svizzero ne genera 760mila, un olandese 530mila. I numeri scendono drasticamente per Italia e Germania (42mila circa) e Francia (33mila).

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Ma la Commissione Ue ha per il momento deciso di non prendere posizioni nette riguardo queste zone grigie. Mentre Francia, Danimarca e Polonia decidono per l’esclusione dagli aiuti pubblici le società collocate in paradisi fiscali, Bruxelles frena. E l’Ue precisa: si tratta di una discriminazione contraria ai principi di libera circolazione dei capitali. L’esperto di Oxfam Italia ha commentato la decisione: “Sarebbe opportuno che anche il nostro Parlamento emendasse in fase di conversione il DL Liquidità inserendo l’obbligo per le società italiane che fanno parte di grandi gruppi multinazionali e richiedono garanzie statali su nuovi finanziamenti di rendere pubbliche le proprie rendicontazioni Paese per Paese”. E poi ribadisce: “Volete il nostro supporto? Ben venga, ma vi chiediamo di permettere a cittadini e parlamentari un maggior scrutinio sulla vostra strutturazione societaria globale e sul livello di contribuzione fiscale in ciascun Paese in cui operate”.

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