Il radiologo Boraschi ha pubblicato un articolo scientifico nel quale avanza l’idea che la polmonite interstiziale tipica del coronavirus possa essere provocata dal danno vascolare, e non la causa alla base del danno polmonare.
Data l’urgenza di trovare un vaccino o quanto meno una cura efficace contro il Covid-19, sono diversi gli studi in materia che ultimamente vengono pubblicati sulle varie riviste scientifiche. Il tutto, ovviamente, per permettere ai vari gruppi di ricerca di condividere le loro scoperte, le loro ipotesi, le loro tecniche di analisi, così da poter giungere più in fretta alla fine delle battaglia contro il coronavirus.
In merito a ciò, risulta allora molto interessante quanto è stato condiviso qualche giorno fa da un radiologo italiano, intervenuto su una rivista di respiro internazionale. Piero Boraschi, radiologo dell’Azienda ospedaliero universitaria di Pisa, ha infatti pubblicato un articolo – o meglio, una “Letter to the editor” – per Academic Radiology, spiegando come, secondo la sua ipotesi, il danno polmonare provocato dal Covid-19 non sarebbe una diretta conseguenza della polmonite interstiziale tipica della malattia.
Secondo quanto viene ipotizzato dal radiologo Piero Boraschi, dunque, la polmonite interstiziale non sarebbe la causa principale del danno polmonare documentato nei casi più gravi di infezione da Covid-19, ma la conseguenza di un danno vascolare primario multi-organo (nel polmone stesso, nel cervello o in altri organi).
Tale ipotesi è stata formulata dall’esperto attraverso l’analisi dei reperti dei deceduti a seguito dell’infezione da coronavirus. Sulla base di diversi dati preliminari, e sul fatto che i reperti della TC toracica non sono specifici, Boraschi ha quindi avanzato l’idea che la polmonite interstiziale”possa essere il risultato di un danno vascolare primario e non la causa iniziale alla base del danno polmonare. Una teoria del genere spiegherebbe del resto anche il perché nei pazienti interessanti risultino maggiormente colpiti i lobi polmonari inferiori, ovvero quella zona dei polmoni dove la perfusione è prevalente.
Come sottolineato nell’articolo, comunque, per dati preliminari si intendono quelli “non ancora pubblicati raccolti tramite autopsie effettuate su pazienti italiani deceduti, e positivi al Covid-19, nei quali era stata evidenziata la presenza di formazioni trombotiche e di vasculite nel polmone, nel cervello, nel cuore ed in altri organi”.
A conclusione della pubblicazione, però, il radiologo specifica chiaramente che si tratta per il momento soltanto di una ipotesi, che va ovviamente supportata “dalla correlazione anatomo-radiologica su campioni polmonari di autopsia“. Alla luce di ciò, è allora probabile che servirà diverso tempo prima di ottenere “dati definitivi di autopsia“, così come prima di capire “qual è il vero significato patologico delle opacità del vetro smerigliato e del modello di pavimentazione folle, primi segni di coinvolgimento polmonare”.
Un’analisi più approfondita verso questa direzione, però, permetterebbe di compiere qualche passo in avanti per l’identificazione di una terapia nei pazienti affetti da Covid-19 che riportano danni polmonari del genere.
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