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Cronaca

Coronavirus, pazienti oncologici lasciati soli: la storia di Alessandra

Meteoweek torna ad occuparsi del dramma dei pazienti oncologici che – in seguito all’emergenza Coronavirus – si sono trovati con viste annullate, terapie rinviate, interventi chirurgici spostati a “data da destinarsi”. La testimonianza di una paziente.

Alessandra Capone, la paziente oncologica che si sta battendo per il diritto alle cure dei malati oncologici “dimenticati” per il coronavirus

Alessandra Capone è una paziente oncologica di Roma che, come tante e tanti, si è trovata a dover gestire la sua condizione nel contesto dell’esplosione della pandemia di coronavirus. Il sistema sanitario nazionale – già normalmente in affanno per i tagli eccessivi subiti nel tempo – è andato in tilt. Non dovunque, ma in tanti casi lo tsunami del Covid 19 ha reso molto difficile la gestione della “normalità”. Compresa l’assistenza dei pazienti oncologici. Un sondaggio realizzato da Codice Viola – associazione di persone malate di tumore al pancreas – ha fotografato la situazione: prime visite annullate, terapie rinviate, interventi chirurgici spostati non si sa a quando. Il racconto di Alessandra, che ha deciso di dare voce a chi si è trovato in questa situazione di grande smarrimento, ci offre ulteriori informazioni su uno degli aspetti più delicati dell’emergenza coronavirus.

Il dramma dei pazienti oncologici ai tempi del Coronavirus: una situazione di cui non si parlava. Come mai?

«Tutto è iniziato con un appello, a metà aprile più o meno. Era rivolto ad amici giornalisti ed addetti alla comunicazione. Poi ci siamo trovati, con l’associazione Codice Viola ed altri malati, e abbiamo deciso a provare di far sentire la nostra voce. Che in effetti era inascoltata. Parliamo di persone che hanno visto “congelare” terapie, visite, interventi di trapianto. Tutto bloccato per il Coronavirus. Io stavo facendo una terapia a Francoforte ad aprile che ho dovuto annullare, poi è insorto un altro problema di metastasi. Cose che purtroppo ai malati oncologici capitano: situazioni delicate, che sono già difficili nella normalità e che adesso diventano montagne da scalare. Il malato oncologico già vive nel continuo stress che gli procura la sua condizione: in una situazione del genere diventa complicato lottare e farsi sentire».

Tu che tipo di problemi hai incontrato?

«Il mio caso forse è particolare ma emblematico: sarei dovuta andare a Francoforte, e si è creato il problema delle quarantene. Perchè, venendo dall’Italia, avrei dovuto farne una appena arrivata in Germania. Ma come faccio a fare una quarantena se devo sostenere una terapia! In più l’accompagnatore, il luogo fisico che avrebbe dovuto ospitarmi… una serie di problemi molto difficili da gestire. A quel punto avrei dovuto fare altre scelte, per evitare di restare “scoperta” dal punto di vista delle terapie. Scelte che sono state impedite da questa situazione di emergenza dovuta al coronavirus. La conseguenza è che ora io mi trovo, appunto, scoperta».

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E quindi stai vivendo, in pieno, quella situazione di incertezza e stress di cui parlavi, e che caratterizza la condizione del paziente oncologico?

«Si. Io ho la fortuna di avere un carattere resiliente, che nasce anche dalle mie esperienze di vita. Questa campagna che sto portando avanti provare a dare voce a chi vive quello che sto vivendo io mi ha dato ulteriore forza, ma ognuno reagisce in maniera diversa. E la situazione è oggettivamente complicata. Il paziente vive in un limbo, nella paura e nell’angoscia di perdere tempo prezioso».

Si può dire dunque che la tua situazione di paziente sia peggiorata a causa del Coronavirus?

«Si, perchè con il peggioramento che ho avuto è stato necessario cambiare terapia. Le terapie più innovative per il tumore al seno metastatico, che è quello di cui soffro, non sono così diffuse. Il mio tipo di tumore è complesso da gestire, per questo avevo deciso di andare a Francoforte. Questa possibilità poi non è andata a buon fine, e avrei dovuto discutere delle possibilità terapeutiche alternative. Bene, io non riesco a comunicare con la mia oncologa perchè l’ospedale è in piena emergenza, molte risorse sono state spostate nella gestione dei pazienti Covid e probabilmente lei è una di quelle. Di fatto non riesco ad avere notizie e questo mi crea una situazione di grande angoscia».

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Da quello che racconti il problema non è solo italiano: anche in Germania hai avuto problemi?

«Si, almeno questo emerge dai fatti. Avevo stabilito un rapporto non solo medico ma anche umano con questa oncologa tedesca, ed eravamo rimasti che ci saremmo sentite. Poi la segretaria mi ha spiegato che sono in emergenza, anche se mi pare assurdo che non si trovi il tempo di una breve telefonata con il paziente. Quindi, non so se per il puntiglio della segreteria o per una situazione oggettiva di sovraccarico, io non più ho contatti con lei. Avrei un’altra possibilità, a Siena, ma anche in quel caso devo spostarmi fino a lì, con tutti i rischi e le difficoltà che in questo periodo comportano gli spostamenti. Insomma, vedo solo strade in salita, anche perchè non mi pare che le il governo, il ministero, le istituzioni stiano facendo nulla per rendere meno complicata la vita a noi malati».

Un’altra immagine di Alessandra Capone

Si può dire quindi che le istituzioni, la politica, le autorità sanitarie e gli ospedali non si sono fatti carico del problema di minimizzare l’impatto dell’emergenza Covid sui malati oncologici?

«Mi hanno riferito di articoli usciti su importanti testate giornalistiche nazionali in cui alcuni ospedali sull’argomento mettono le mani avanti, difendendo se stessi. Questo problema andava gestito subito, all’inizio. Andava evitato di creare questo panico nei pazienti oncologici, bisognava fare i tamponi ai pazienti immunodepressi, sopratutto non si possono convertire interi reparti dedicandoli ai pazienti Covid togliendo letti, infermieri e medici a chi è in cura con terapie salvavita. C’è una emergenza, per carità, ma qui stiamo parlando di tumori, malattie che non lasciano scampo. Se si perde tempo, se si rimanda una terapia, se si fa una diagnosi in ritardo cambia tutto. Cambia la prognosi, cambia il destino di una persona. Non si può intervenire dopo: bisogna pensarci prima, o quantomeno ora, subito. Io temo che la scelta di rimandare visite e terapie sia stata presa sulla base di parametri non sempre corretti. Io non mi fido del tutto: sappiamo bene cosa è successo alla sanità negli anni, i tagli, i disinvestimenti… No, non mi fido. Se il paziente riceve solo la comunicazione che la visita o la terapia sono rinviate a data da destinarsi, senza spiegazioni logiche, ma come fa un paziente a sentirsi sereno?».

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