Dal 4 maggio si apre la Fase 2 e si ragiona sui futuri orari di lavoro, dallo smart working alla diluizione dei turni spalmati su 7 giorni.
Dai dati sul lockdown, adottato per far fronte all’emergenza Coronavirus, si evince che un lavoratore su tre si è dovuto fermare e in numeri sono impressionanti. Seocndo l’Istat, l’Istituto nazionale di Statistica, ci sono circa 7,3 milioni di persone che hanno dovuto sospendere le attività lavorative, che corrisponde al 31% del totale dei lavoratori italiani. Dal 4 maggio, però, inizierà la Fase 2 e diversi settori riprenderanno le proprie attività, anche se in maniera scaglionata. Infatti mentre prima della pandemia si pensava di ridurre la settimana lavorativa a 4 giorni, adesso si crede necessario diluire il lavoro, spalmandolo su 7 giorni. L’economista Andrea Garnero dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che si occupa di studi economici, ha commentato al riguardo: “due ipotesi estreme, che ruotano attorno allo stesso obiettivo: migliorare la qualità del lavoro. Che oggi si abbina a una priorità assoluta: lavorare in sicurezza“.
Per quanto riguarda gli orari di lavoro che si seguiranno nella Fase 2 potrebbero essere differenziati, in modo da garantire il distanziamento sociale, ridurre il numero delle presenze all’interno dei luoghi di lavoro ed evitare qualsiasi forma di assembramento in ingresso e in uscita. Il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra, ha sottolineato a tal proposito: “bisogna sviluppare ecosistemi lavorativi nuovi e innovativi, coerenti con i contenuti del Protocollo su salute e sicurezza del 14 marzo“. Un esempio concreto è stato messo in atto dall’azienda Ruffino, uno dei più antichi produttori di Chianti della Toscana, che ha 250 dipendenti: gli operai agricoli non si sono mai fermati, 70 impiegati sono in smart working dal 10 marzo, i 60 addetti all’imbottigliamento e alla cantina, dopo alcuni giorni di stop a marzo, hanno ripreso il lavoro con tutte le precauzioni e con nuovi orari. I turni vanno, infatti, dalle dalle 7 alle 13.30 e dalle 15 alle 21.30, mentre prima si lavorava dalle 8 alle 17, ha raccontato il direttore delle risorse umane Emanuele Rossini.
Per quanto riguarda lo smart working, in molti casi si è dimostrato uno strumento vincente, tanto che da una ricerca del Gruppo Digital360 è emerso che l’88% dei lavoratori ritiene che le proprie prestazioni siano rimaste invariate o sono addirittura migliorate e che le relazioni con capo e colleghi siano migliorate per circa il 90% di loro. Non a tutti è, però, concesso il lavoro da remoto, ha spiegato il direttore dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, Mariano Corso, e ha raccontato che “le aziende che non hanno questa possibilità dovranno adottare misure di prevenzione e protezione rigorose. Il rispetto delle regole di comportamento dovrà essere innanzitutto affidato alla responsabilità individuale e al controllo sociale, ma poi assicurato da adeguati controlli su lavoratori e imprese“.
Per quanto concerne gli ambienti di lavoro, sarà necessario ridisegnare gli spazi e spostare le postazioni di lavoro, e in alcuni casi sarà necessario adottare delle barriere di protezione tra colleghi. In più l’Inail, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, in tutti gli spazi comuni, dalle mense ai servizi igienici, sarà doveroso prevedere una ventilazione continua degli ambienti. E in più dovranno essere limitati gli spostamenti all’interno delle aziende e favorite le riunioni a distanza. Per l’accesso dei fornitori esterni si dovranno prevedere modi e tempi definiti dalle aziende, sempre nel rispetto del distanziamento sociale. I luoghi di lavoro, inoltre, dovranno essere dotati dei necessari strumenti di protezione individuali, come mascherine, guanti, cuffie, occhiali, gel ionizzanti e rilevatori della temperatura corporea all’entrata. E poi anche continue disinfezioni e sanificazioni degli ambienti e ventilazione degli spazi di lavoro.
Per quanto riguarda, invece, i giorni su cui potranno essere spalmati i turni, e soprattutto rispetto alla domenica lavorativa, il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra, ha dichiarato che “dipenderà molto dalle specificità di ogni comparto e di ogni sito produttivo. La definizione di queste e di altre flessibilità va delegata alla contrattazione, specialmente quella decentrata“. Il presidente dell’Aidp, l’associazione italiana dei direttori del personale, Isabella Covili Faggioli ha affermato: “con tutta probabilità gli orari di lavoro interesseranno tutta la settimana che sarà organizzata a turni molto più che oggi. Le ferie saranno più scaglionate per poter soddisfare non solo le esigenze lavorative ma anche quelle della famiglia“.
Il direttore dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, Mariano Corso, ha spiegato che “per sostenere la ripresa in sicurezza occorrerà favorire una migliore distribuzione delle attività di produzione, consumo e interazione sociale nello spazio e nel tempo. Questo porterà anche a estendere la disponibilità dei servizi e riorganizzare gli orari e i luoghi delle città in modo da evitare assembramenti e venire incontro alle esigenze di lavoratori e famiglie. Anche ferie e vacanze scolastiche andrebbero riorganizzate in modo da conciliare meglio possibile le esigenze di ripartenza economica, con quelle di distanziamento sociale e benessere delle persone“, in risposta all’ipotesi di lavoro 7 giorni su 7.
Sui comportamenti che i lavoratori saranno tenuti ad avere in azienda, il docente di economia politica all’università Cattolica di Milano, Claudio Lucifora, ha spiegato che “fondamentale sarà informare tutti i lavoratori, ma soprattutto la formazione per la sicurezza, perché distribuire le “informazioni” e aggiornare il documento valutazione dei rischi non basta. Visto che le modalità di formazione tradizionale sono out, è necessario utilizzare nel modo migliore la tecnologia. Per esempio, si possono predisporre brevi video girati in azienda con il dettaglio delle procedure e dei protocolli di emergenza, contemplando anche test di verifica“. In alcune aziende tecnologicamente avanzate si stanno sviluppando delle app di tracciamento, con invio di messaggi di allerta in caso di emergenza e la condivisione di informazioni in tempo reale per l’attivazione di eventuali misure di contenimento, tra cui la comunicazione immediata ai presidi sanitari del luogo.
Per i lavoratori over 55 e coloro che sono affetti da patologie, l’Inail ha chiesto di mettere in pratica una “sorveglianza sanitaria eccezionale“. Se non ci fosse una adeguata copertura immunitaria, si dovrà prendere in considerazione un’inidoneità temporanea o la limitazione all’idoneità per un periodo adeguato. Di importanza fondamentale saranno i medici all’interno delle aziende, che qualora fossero sprovviste hanno l’obbligo di nominarne uno o trovare altre soluzioni per effettuare visite mediche, su richiesta del lavoratore, anche coinvolgendo le strutture sanitarie pubbliche territoriali. Infine il riavvio delle attività produttive nella Fase 2 dovrà tener conto di tre criteri: la situazione epidemiologica, l’adeguatezza del sistema sanitario locale e la disponibilità dei dispositivi di protezione individuale.