Da qualche settimana Quibi è disponibile anche in Italia. Si tratta di una nuova piattaforma streaming che propone film e serie tv pensati per una fruizione esclusivamente da cellulare. Ma il debutto non è stato dei migliori.
È sbarcata anche in Italia la piattaforma digitale Quibi, pensata per la fruizione di film e serie tv esclusivamente su smartphone. Gratis per i primi 90 giorni, al momento i contenuti sono solo in inglese, ma presto sarà resa disponibile anche la lingua italiana per i contenuti originali già presenti sulla piattaforma. Ma ne vale effettivamente la pena?
Il nome del creatore di Quibi è uno di quelli importanti: Jeffrey Katzenberg. Un uomo che ha raramente sbagliato in vita sua. Negli anni ‘90 si era fatto un nome rimettendo in piedi la Disney e producendo i film di quella che viene considerata oggi la fase del Rinascimento, per poi decidere di lasciare la casa di Topolino per fondare la Dreamworks con Steven Spielberg e David Geffen. Ma adesso questa striscia di clamorosi successi e grandi intuizioni che gli hanno accumulare un potere non indifferente ad Hollywood potrebbe interrompersi drasticamente. Il lancio della sua nuova piattaforma, in cui sono stati investiti 1,75 miliardi di dollari (un miliardo in sviluppo e 750 milioni in contenuti) e 5 anni di lavoro) è stato “irrilevante”. Nessuno ne parla e, nonostante il meglio in teoria debba ancora arrivare, nessuno sembra avere la minima idea di pagare un abbonamento al termine del periodo di prova per usufruire di una piattaforma pensata esclusivamente per device portatili (tablet o smartphone) e che propone serie, show televisivi e notiziari in episodi da meno di 10 minuti.
Al momento i mesi di prova gratuita offerti sono tre (tantissimi, considerando che generalmente si va da un minimo di 7 giorni ad un massimo di 30) e gli show disponibili sono quasi tutti di pessima qualità, solo occasionalmente piacevoli e divertenti e invece molto più spesso demoralizzante come sanno essere certe trasmissioni trash che speravamo di metterci alle spalle. Di contenuti effettivamente in grado di giustificare la sottoscrizione di abbonamento non c’è assolutamente nulla. Nelle prime 24 ore l’applicazione è stata scaricata solo 300.000 volte (nello stesso lasso di tempo Disney+ aveva registrato 4 milioni di download). Nessuno ne parla, pochissimi sanno della sua esistenza e ad oggi è un fenomeno che interessa quasi esclusivamente i giornalisti (eccoci) che ne scrivono o gli addetti ai lavori che ne discutono.
Le ragioni dell’insuccesso non sono certamente di natura tecnica. La piattaforma ha una interfaccia che unisce quella di Netflix a quella di Instagram e permette di vedere i contenuti sia in verticale che in orizzontale senza perdere nulla dell’esperienza (passando al verticale siamo comunque in grado di vedere chi parla o di seguire l’azione e in certi casi lo schermo si divide in due). Il problema è nella scarsa qualità dei contenuti. Quibi, paradossalmente, segna il ritorno della vecchia tv. Una piattaforma che in teoria poteva emanciparsi dai contenuti smaccatamente televisivi (perché caratterizzati da una durata diversa e fruibili in maniera differente) si rivela invece quanto di più vecchio si possa immaginare.
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