Sono 2.867 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza della Rete D.i.Re durante lockdown dal 2 marzo al 5 aprile 2020: il 74,5 per cento in più, pari a 1224 donne, rispetto alla media mensile registrata con l’ultimo rilevamento statistico di due anni fa, quello del 2018 negli oltre 80 centri sparsi per l’Italia.
Se possibile, il lockdown voluto dal governo per l’emergenza coronavirus, ha peggiorato la vita alle donne solitamente vittime di violenza domestica. In 2.867 si sono rivolte ai centri antiviolenza della Rete D.i.Re dal 2 marzo al 5 aprile 2020: il 74,5 per cento in più, pari a 1224 donne, rispetto alla media mensile registrata con l’ultimo rilevamento statistico di due anni fa negli oltre 80 centri sparsi per l’Italia. Le maggiori richieste di aiuto sono arrivate da Lombardia e Toscana. Di queste 2.867 donne, però, solo il 28% non aveva mai contattato prima un centro antiviolenza, quando invece due anni fa rappresentevano il 78% delle donne accolte; mentre si è verificato un incremento “significativo” delle richieste di supporto da parte di donne che erano già seguite dai centri antiviolenza.
Tutti siamo costretti a restare a casa in questo periodo. Le donne sono costrette a trascorrere in casa con chi le maltratta il periodo di quarantena. “Ben oltre 1200 donne in più si sono rivolte ai centri antiviolenza D.i.Re in poco più di un mese, rispetto alla media annuale dei contatti registrata nell’ultima rilevazione – spiega Paola Sdao, che insieme con Sigrid Pisanu cura la rilevazione statistica annuale della rete D.i.Re – un dato che conferma quanto la convivenza forzata abbia ulteriormente esacerbato situazioni di violenza che le donne stavano vivendo”. “Un dato che ci preoccupa – continua Sdao – sono le nuove richieste di aiuto, che rappresentano solo il 28% del totale, quando invece nel 2018 rappresentavano il 78% del totale delle donne accolte. E di queste solo il 3,5 per cento sono transitate attraverso il numero pubblico antiviolenza 1522″.
“I nostri dati ci confermano che i centri antiviolenza – commenta la presidente di D.i.Re Antonella Veltri – sono un punto di riferimento per le donne a prescindere dal 1522, servizi essenziali mai citati nei vari Dpcm che si sono susseguiti e che hanno proseguito la propria attività nonostante le difficoltà”. Veltri denuncia che “oggi, ancora in piena emergenza, siamo nella stessa situazione di 53 giorni fa, quando si è registrato il primo decesso per Covid. Nonostante avessimo chiesto risorse straordinarie e le necessarie protezioni per gestire l’accoglienza, i centri antiviolenza e le case rifugio hanno dovuto nella maggior parte dei casi provvedere in autonomia a mettersi in sicurezza e a reperire alloggi di emergenza”. Parlando dei fondi 2019 sbloccati dal Dipartimento Pari Opportunità il 2 aprile “devono ora transitare – sottolinea – per le Regioni: ad aggi nessuna Regione risulta essersi attivata. Inoltre non si tratta di risorse aggiuntive, ma di risorse destinate a fondamentali attività aggiuntive, quali la
formazione e l’inserimento lavorativo delle donne, che ora verranno meno”. “E i 3 milioni annunciati con il Cura Italia – conclude – sono irrisori, rispetto ai bisogni dei centri. Non siamo ancora fuori dall’emergenza, e ora che si sta avvicinando il momento della riapertura del paese nessun intervento è stato previsto per affrontare la situazione mentre le richieste di supporto potrebbero aumentare ancora, come è già successo in Cina. Il governo deve assolutamente cambiare strategia”.
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