Coronavirus, Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali, frena l’entusiasmo: ci sono miglioramenti ma siamo ancora in emergenza. E aggiunge: “Chiedo chiarezza alla comunità scientifica”.
Coronavirus, si esprime il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia sul lieve calo di contagi e morti in Italia. “Siamo nella fase in cui vediamo le prime luci e dobbiamo difendere i risultati raggiunti. Capisco la voglia di uscirne, ma i numeri ci dicono che siamo ancora dentro l’emergenza“. Così Francesco Boccia in un’intervista al Corriere della sera. Le parole del ministro sembrano essere in linea con quanto affermato da Giovanni Rezza, dell’Istituto superiore di Sanità e componente del Comitato tecnico scientifico. “Siamo ancora in fase uno, non c’è dubbio. Segnali positivi ci sono ma il numero dei morti è ancora elevato perché è da attribuire a contagi precedenti. I numeri diminuiscono lentamente perché si riferiscono ai contagi”, è quanto affermato da Rezza durante la conferenza stampa di lunedì 13 aprile. E infatti Boccia prosegue, avvertendo che il contagio da coronavirus non è finito: chi vuole riaprire ne sarà responsabile. E quando si arriverà allo stop del lockdown, alla fase 2, il 4 maggio, “dobbiamo ancora mantenere la barra dritta”.
Poi Boccia prosegue con un appello rivolto alla comunità scientifica, un invito alla massima collaborazione e chiarezza. “Chiedo alla comunità scientifica, senza polemica, di darci
certezze inconfutabili e non tre o quattro opzioni per ogni tema. Chi ha già avuto il virus, lo può riprendere? Non c’è risposta. Lo stesso vale per i test sierologici. Pretendiamo chiarezza, altrimenti non c’è scienza. Noi politici ci prendiamo la responsabilità di decidere, ma gli scienziati devono metterci in condizione di farlo”. Boccia sottolinea, infatti, la completa disponibilità all’ascolto da parte del governo nei confronti delle indicazioni della comunità scientifica. Ma poi sottolinea: queste certezze devono arrivare, uno spettro di ipotesi non è sufficiente.
Poi, su un possibile ritorno alla normalità: “Parlare di normalità vuol dire illudere la gente, perché se fai un errore distruggi settimane di sacrifici di tutti. A chi non ha colto l’insegnamento di questi 45 giorni perché annebbiato dal dio denaro, ricordo che l’Italia conta 160mila casi e 20mila morti. Chi pensa che il futuro sarà come il passato pre-coronavirus, non ha capito in che fase del mondo siamo entrati”. E anche nel mondo del lavoro il cambiamento sarà drastico, non solo a livello economico. Boccia sottolinea l’esigenza di una riorganizzazione radicale anche delle modalità lavorative. Il lavoro “si baserà sui risultati prodotti e non sulle ore di lavoro. La dimensione economica verrà stravolta dal superamento dei vincoli burocratici, da semplificazioni senza precedenti e dalla riduzione delle imposte”.
Non manca un commento sulla gestione delle regioni, sulle decisioni di loro competenza e sui diversi indirizzi adottati da queste ultime: “Mettere ordine con 21 sistemi regionali diversi è un obiettivo ambizioso. Quello che puoi ottenere, è che la nave Italia segua la stessa rotta“. Poco importa, sembra affermare Boccia, con quali direttive locali vengono applicate le decisioni nazionali, l’importante è che tutti vadano verso la stessa direzione. A volte però questa unità di intenti sembra incrinata. Zaia, governatore della regione Veneto, sembra intenzionato a dare inizio alla fase due, a riaprire le aziende. Fontana, presidente della regione Lombardia, vuole invece attendere il 3 maggio. A tal proposito Boccia: “I presidenti che vogliono riaprire se ne assumono la responsabilità, come ho detto a Fugatti che guida la Provincia di Trento e vuole sbloccare alcuni cantieri. Non è meglio aspettare la valutazione sulle classi di rischio di ciascun lavoratore, pronta fra sei o sette giorni? Consiglio di seguire le linee della comunità scientifica e le scelte del governo”. Di nuovo Boccia invita all’ascolto della comunità scientifica, da cui dipendono le decisioni governative, da cui dipendono le decisioni locali.
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