Fabio Rubino, 55 anni, era primario delle Cure Palliative di Morbegno, Sondrio, Sondalo e Chiavenna. Il numero di medici morti con Coronavirus ha superato quota cento.
Un altro medico non riesce a uscire vivo dal campo di battaglia contro il Coronavirus. Si chiamava Fabio Rubino, aveva 55 anni, e nell’ultimo anno e mezzo aveva svolto con la consueta solerzia il ruolo di primario del reparto di Cure Palliative. Le sue abilità gli avevano consentito di essere diviso tra le strutture ospedaliere di Morbegno, Sondrio, Sondalo e Chiavenna. Negli ultimi giorni era stato ormai stabilizzato proprio nella struttura di Morbegno, nella provincia sondrina. Poi è arrivato il momento in cui si è scoperta la sua positività al Coronavirus, che lo ha costretto al ricovero.
Pochi giorni dopo la sua sistemazione in ospedale, il cuore di Fabio Rubino ha smesso di battere. Si tratta dell’ennesimo medico rimasto ucciso nella lotta contro il Coronavirus, e il conteggio complessivo supera ormai da tempo le cento vittime. A dare la notizia della morte del medico di 55 anni è stata l’Asst della Montagna. Nel rendere noto il decesso del proprio medico, l’azienda sanitaria ne ha ricordato le grandi doti professionali e umane. Un modo per renderlo particolarmente apprezzato, sia ai colleghi che agli stessi vertici della Asst di Sondrio e dei comuni circostanti.
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Come detto, già dallo scorso 8 ottobre 2018 Fabio Rubino era entrato nel novero dei primari degli ospedali della provincia di Sondrio. E così si divideva tra le quattro strutture ospedaliere controllate dalla Asst della Montagna. Poco più di un anno dopo Fabio Rubino era stato portato in maniera stabile a Morbegno, prima di scoprire di essere positivo al Coronavirus. Tra le altre cose, oltre alla sua attività da primario, Rubino si prodigava anche in attività di stampo più umanitario. Era infatti volontario da qualche mese per l’associazione “Cancro Primo Aiuto”, che opera da diversi anni sull’intero territorio della Lombardia.
Fabio Rubino risiedeva a Cormano, in provincia di Milano, ed è stato ricoverato dopo la positività al Coronavirus in terapia intensiva all’ospedale Niguarda del capoluogo lombardo. Il suo ricovero è durato circa una settimana, dopo l’aggravamento delle sue condizioni. Tra le altre cose, proprio il nosocomio milanese ha rappresentato una delle tappe della sua carriera da medico, visto che proprio lì aveva operato nel reparto di Anestesia e Rianimazione. I suoi colleghi, purtroppo e senza troppe responsabilità, non sono riusciti a salvargli la vita.