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Cronaca

Francia, gli esperti: “Vicini alla fase 2, ma c’è un alto rischio di recidive”

La Francia si avvicina alla fase 2, ma per gli esperti il rischio è ancora alto. In un intervista su “Repubblica” l’immunologo Jean-François Delfraissy spiega perchè.

L’immunologo Jean Francois Delfraissy, a capo dello staff di esperti in Francia

Anche la Francia inizia a riflettere sulla possibilità di entrare nella “fase 2”. Ma il rischio di una recidiva è ancora alto: sono troppo pochi gli immuni. Lo spiega in una intervista su Repubblica l’immunologo Jean-François Delfraissy, che è alla guida del comitato scientifico che consiglia Emmanuel Macron in questa fase di grave emergenza sanitaria. Delfraissy, 71 anni, è stato un luminare della ricerca sull’Aids, in prima linea contro Ebola. Il suo gruppo di esperti comprende anche un’antropologa e un sociologo. “E’ importante avere un approccio multi-disciplinare e valutare parametri non solo scientifici spiega Delfraissy. “So per esperienza che ogni crisi sanitaria porta con sé il rischio di una crisi politica e sociale. L’immunologo spiega a Repubblica quali sono le sue raccomandazioni per avviare la fine del lockdown iniziato il 17 marzo. Con un auspicio: “Francia e Italia si devono mettere d’accordo per una serie di misure condivise in questa fase molto delicata. È una delle delle chiavi del successo”. I timori di Delfraissy sono nati osservando la situazione italiana: “Mi sono reso conto dell’estrema gravità dell’epidemia proprio vedendo la situazione in Lombardia dove c’è un’eccellenza medica e scientifica. Ho capito subito che alla Francia sarebbe toccato lo stesso destino. E difatti quando si è insediato il nostro comitato il 10 marzo ho subito detto a Macron che l’unica strada da seguire era il confinamento”.

Il presidente francese Macron

Il distanziamento sociale ed il blocco delle attività come primo passaggio nel costruire una difesa del virus: Defraissy ne è convinto: “Posso dire che il mio parere è stato tranchant. E non ne vado fiero perché so quale sacrificio è stato imposto ai cittadini. Se avessimo avuto una capacità giornaliera pari a 100 mila test forse avrei suggerito di agire diversamente. Non era così. Il 10 marzo la capacità della Francia era di 3 mila test al giorno. L’isolamento non era la migliore soluzione. Era la meno peggio”. Perché a fare la differenza sembra proprio essere la quantità di test che è possibile effettuare, come è avvenuto in Germania: “E’ così, e tanto meglio per i tedeschi. Oggi in Francia capacità giornaliera di test è salita a 30 mila al giorno. L’obiettivo è arrivare a 100 mila entro la fine del mese. La carenza iniziale ha dettato la scelta dell’isolamento e pesa ancora nella durata”. Il problema è che non è possibile quantificare quanto tempo sia necessario per alleggerire le misure: Parleremo di date solo quando avremo gli strumenti per affrontare l’aumento dei contagi e dei malati che ripartirà non appena si allenterà l’isolamento” spiega l’immunologo. “Su questo non ci sono dubbi: l’epidemia ricomincerà a correre. E noi dovremo essere pronti, contrariamente a quello che è successo la prima volta”.

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Anche per il luminare francese, il passaggio dalla chiusira all’apertura dovrà essere graduale: “E’ il dibattito in corso tra il nostro comitato, il governo e l’Eliseo. Vi posso solo dire che non passeremo dal nero al bianco. Ci saranno sfumature di grigio. Abbiamo fatto il calcolo delle persone più a rischio, tra anziani, cardiopatici, obesi e altre patologie. Sono 17 milioni di francesi. Già questo dato vi fa capire la complessità della situazione”.
Anche perchè, purtroppo, gli immunizzati non sono molti:
“Abbiamo i primi studi sierologici e purtroppo non sono incoraggianti. Nelle zone più colpite dall’epidemia vediamo che l’immunità è intorno al 10 per cento. Da quel che so è la stessa cosa in Lombardia. E’ molto meno di quello che ci aspettavamo, e speravamo. Siamo lontanissimi da un’immunità naturale nella popolazione. Ma c’è un altro problema” spiega Defraissy: “Questo virus è davvero particolare. Ci siamo accorti che la durata di vita degli anticorpi protettori contro il Covid-19 è molto breve. E osserviamo sempre più casi di recidiva in persone che hanno già avuto una prima infezione. E’ per questo che il nostro comitato non raccomanda più la patente immunitaria, una sorta di lasciapassare per chi ha avuto una prima infezione”.

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Il dottor Delfraissy spiega poi quale sarà il percorso che porterà la Francia fuori dall’emergenza: “Ci sono due indicatori da guardare. Quando le terapie intensive non saranno più sotto pressione, il personale medico avrà fiatato. E quando avremo la capacità di testare massicciamente, isolando i positivi e tracciandone i contatti. Una previsione, solo teorica, è tra inizio e metà maggio”. Al momento il modello da seguire sembra essere quello coreano, anche se Delfraissy preferisce spiegare bene:
“La Corea del Sud non ha fatto solo la tracciabilità sui cellulari. Ha anche mobilitato 20 mila persone che hanno indagato e spezzato le catene di trasmissione. L’innovazione tecnologica deve essere accompagnata da uno sforzo umano“.
Anche perchè il “tracking”, ossia la tracciabilità sui cellulari, può essere vista come una limitazione della privacy:
“Infatti eventualmente sarà applicata solo in modo transitorio, su base volontaria e dentro regole precise. La Francia sta lavorando con la Germania su un’applicazione. L’ideale sarebbe allargare la collaborazione ad altri Paesi come l’Italia”.
E’ però fondamentale un forte coordinamento europeo nell’accesso alla cosidetta “Fase 2”: immaginare azioni diversificate potrebbe portare ad un drammatico corto circuito.
“Sarebbe un disastro” concorda Delfraissy. “Non lo dico solo al livello sanitario, ma anche per evitare una crisi sociale e politica più grave. Se siamo coordinati sarà molto più facile far accettare misure come il tracking o l’isolamento dei pazienti positivi in strutture ad hoc. I nostri cittadini osservano quello che succede nei Paesi vicini. Non capirebbero misure contraddittorie. Inoltre una certa uniformità è essenziale per ricominciare a viaggiare, lasciare aperte le frontiere”.
L’Europa deve necessariamente esprimere una politica unica rispetto l’emergenza coronavirus, iniziando ad occuparsi dell’aspetto sanitario come quello prioritario. Fino ad ora l’impressione è che quello che veramente interessava era gestire l’impatto economico della crisi:
“Purtroppo è così, e ne subiamo tutti le conseguenze. Fino a qualche giorno fa i Paesi europei litigavano tra di loro per accaparrarsi le mascherine in Cina. Abbiamo deciso il confinamento senza coordinarci tra Paesi europei. Adesso è indispensabile non ripetere lo stesso errore. E’ il senso del mio appello all’Italia ma anche agli altri Paesi del nucleo fondatore dell’Europa”.

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Un tema interessante è proprio quello relativo alle mascherine: per alcuni indispensabili, per altri – come ad esempio proprio il governo francese – meno. Su questo aspetto Delfraissy ha le idee chiare: “Sia l’Oms che il governo hanno faticato ad ammettere la verità, ovvero che non c’erano mascherine in quantità sufficienti per tutti. Sono convinto che le mascherine siano uno degli strumenti essenziali per uscire dal confinamento. Qualsiasi francese dovrebbe averle e indossare se lo desidera. Oggi non è così”.
Per quel che riguarda il confinamento, in Francia la situazione è simile a quella italiana: “E’ rispettato dalla stragrande maggioranza dei francesi. Vedo anche io che non è il cento per cento, ma ricordiamoci che è un equilibrio delicato. La Francia non è la Cina, e ribadisco che le crisi sanitarie portano sempre un rischio politico e sociale da non sottovalutare”.
Ma le politiche di distanziamento portano risultati. Anche in Francia è così, e l’immunologo lo conferma: “Siamo nei tempi che avevamo previsto. A inizio marzo il tasso R0 era di 3,5, oggi è sceso intorno a 1 e pensiamo di calare ancora tra 0,7 e 0,8 a inizio maggio, quando si potrà cominciare a parlare di fine del confinamento. Ma solo se saremo pronti anche su test, tracking digitale e umano, isolamento pazienti, mascherine”.
La conclusione delle riflessioni di Delfraissy è comunque ottimistica: un pò grazie all’arrivo della stagione calda (ma con riserva), un pò per le caratteristiche del virus, un pò perchè la scienza è in gradi di rispondere a questa crisi: “Tutte le pandemie dell’ultimo secolo si sono attenuate durante la stagione estiva. Questa volta vediamo però che il virus si diffonde anche in zone calde. Quindi prudenza. L’altra cosa che vediamo dalla storia delle epidemie è che bisogna prepararsi a un rimbalzo del virus in autunno. Sono ottimista per natura. Penso che alla fine l’intelligenza umana vincerà contro il virus. E quando parlo di intelligenza non parlo di noi esperti o della politica, ma dei cittadini che devono impadronirsi di questa sfida, e lo stanno già cominciando a fare. E poi, qualche buona notizia c’è: il virus ha subito solo piccole mutazioni in questi quattro mesi, è abbastanza stabile. E questo aiuta la corsa ai vaccini, inedita per rapidità. Sono convinto che ci sarà un primo vaccino già entro la fine dell’anno. E intanto forse ci saranno novità positive sulle terapie e spero su forme di profilassi”.

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