Il regista Pupi Avati sta per realizzare il suo sogno dopo quasi 20 anni di attesa: girare un film su Dante Alighieri, il poeta che ha codificato la rappresentazione più famosa dell’inferno. Ma quali sono stati i migliori inferni cinematografici?
Non ci sono dubbi che l’inferno sia molto più rappresentato, raccontato e mitizzato del paradiso (uno dei registi che ci ha provato recentemente è stato Lars Von Trier ne La Casa di Jack). Ovviamente a tale mitizzazione ha contribuito in maniera fondamentale la rappresentazione fornita da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia. Proprio del sommo poeta fiorentino tratterà il prossimo film del regista Pupi Avati, che sarà così in grado di realizzare un sogno che insegue da quasi due decenni. Ma quali sono state le migliori rappresentazioni dell’inferno al cinema?
Questo film turco del 2015, in cui si racconta di cinque poliziotti che finiscono all’inferno, offre una rappresentazione infernale basata su immagini, figure e mitologie completamente diverse da quelle a cui siamo generalmente abituati. La quantità e varietà di figure e creature con le quali i poliziotti del film entrano in contatto è stupefacente. Proprio la sua provenienza così inusuale (la filmografia turca non è certamente famosa per gli horror) lo ha reso un piccolo cult ancora poco conosciuto.
Ovviamente anche l’inferno dantesco è stato già rappresentato al cinema. Nel 1911, quando ancora era necessario elevare il mezzo cinematografico, considerato imberbe, attraverso la materia letteraria, il film muto di Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan osò moltissimo, mettendo in scena quello che era a tutti gli effetti un film dell’orrore che traduceva in immagini le parole di Dante con rara inventiva.
È solo nel secondo capitolo del celebre franchise horror Hellraiser che l’inferno viene trattato adeguatamente e reso luogo privilegiato della narrazione. La sua rappresentazione fugge dai soliti cliché cinematografici per aderire invece coerentemente al look e all’estetica fondata nel primo indimenticabile film. I rumori di fulmini e catene, la prevalenza delle tonalità di grigio e un uso marcato del make-up: sono questi gli elementi per cui l’inferno di Hellraiser II somiglia ad una prigione piuttosto che ad un luogo metafisico e sovrannaturale.
Il film del 1998 diretto da Vincent Ward rivede l’inferno dantesco in una chiave più innocente e minimale: un cumulo di teste, nessun colore se non il rosso e urla disumane che provengono da lontano. Il film con Robin Williams stupisce per la sua iconografia e trova il modo di mettere in scena il mondo degli inferi coerentemente con il suo stile (che guarda alla pittura). Al di là dei sogni propone così una versione poetica degli inferi, come luogo dell’inconscio e del rimosso. Tra le teste parlanti compare anche quella di Werner Herzog.
Nel film di Paul W. S. Anderson l’astronave che deve essere ritrovata, anziché raggiungere altri sistemi stellari, ha valicato i confini della realtà conosciuta dall’uomo ritrovandosi in una dimensione alternativa di puro caos e di pura malvagità. La versione fantascientifica dell’inferno dantesco. Il personaggio di Weir diviene così la personificazione in chiave moderna dell’Ulisse della Divina Commedia, mosso da una insaziabile sete di conoscenza a violare i limiti umani.
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