In queste settimane non si parla d’altro: Mes, Eurobond (o Coronabond), accordi e dissapori con l’Europa e gli Stati Membri per trovare una soluzione comune sulla crisi – economica e non solo – scoppiata a seguito della diffusione del Coronavirus. Ma cosa sono gli Eurobond e come funziona il Mes? Ma, sopratutto, il ricorso ad uno strumento piuttosto che l’altro, cosa comporta per le tasche degli italiani e il Belpaese?
Con l’acronimo Mes si fa riferimento al cosiddetto Meccanismo Europeo di Stabilità, un fondo a cui gli Stati facenti parte dell’Unione Europea possono attingere se e quando si trovano in un momento di particolare difficoltà. Il riconoscimento dello stesso è successivo alla presentazione di una richiesta, che deve essere esaminata dagli altri Paesi Membri i quali, a loro volta, concederanno dei soldi in prestito solo se il richiedente è in grado di fornire delle garanzie. Il denaro verrà quindi “prestato” allo Stato in difficoltà a condizione che il suo Governo prenda tutta una serie di decisioni in grado di assicurarsi la fiducia degli investitori.
Logica e meccanismo sono spesso stati messi in discussione e, prima dello scoppio della pandemia, alcune Potenze europee avevano addirittura proposto un’azione di Riforma. Il Covid-19, tuttavia, ha messo l’Ue nella condizione di rivedere le proprie priorità, ed oggi il Mes (approvato dall’Eurogruppo) è ufficialmente diventato lo strumento comune di sostegno finanziario contro l’emergenza Coronavirus.
Abbiamo appena spiegato che uno dei requisiti fondamentali per accedere al Mes è lo studio della sostenibilità finanziaria del debito. Il Governo che riceverà il prestito, infatti, non solo si dovrà impegnare a restituirlo, ma dovrà farlo a determinate condizioni, come il taglio della spesa pubblica e l’approvazione di riforme strutturali.
Per ricevere il sostegno e poter contare sulla fiducia degli investitori, nello specifico, gli Stati Membri saranno chiamati a studiare una sorta di piano correttivo della finanze pubbliche dello stato in difficoltà. Spesso si tratta di un impegno (seppur non immediato) a tagliare le spese e aumentare le tasse, ristabilendo in questo modo l’equilibrio all’interno di un Paese che – inevitabilmente – uscirà dalla crisi più indebitato di prima. Il Mes, a differenza degli Eurobond, è un fondo già esistente, cui condizioni di accesso e riconoscimento, come abbiamo visto, vengono predefinite prima.
La creazione di Eurobond, fortemente appoggiati dall’Italia, avrebbe comportato invece un nuovo accordo tra gli Stati Membri, sia sui termini che sulle condizioni di attuazione. Questo, ovviamente, avrebbe richiesto un tempo maggiore di preparazione, il che è stata considerata da molti una possibilità non del tutto ottimale viste le necessità del momento. È proprio per questo motivo che, ad oggi, i Coronabond non hanno trovato un seguito.
Il Mes, come accennato, richiede un esame di sostenibilità del debito (prerequisito fondamentale per ottenere i fondi), mentre le emissioni obbligazionarie (ovvero gli Eurobond) non presupporrebbero – in teoria – alcuna valutazione. Ed è proprio su questa sostanziale differenza che i detrattori del Mes hanno fatto e continuano a fare leva in questi giorni. Secondo questi l’Italia, che essendo uno dei Paesi più colpiti dal Coronavirus si trova già in una posizione di svantaggio, pertanto, col ricorso al Mes dovrà fare i conti dei nuovi vincoli di politica economica, che di fatto si andrebbero a sommare a quelli già imposti – ante crisi – dall’Ue.
Il ricorso al Mes può essere considerato come la stipula di un mutuo per l’Italia. L’accesso allo stesso, quindi, metterà lo Stato italiano nella posizione di dover restituire i soldi che ha ottenuto, ma a particolari condizioni, perché le stesse politiche economiche dovranno essere adattate ad una logica che tenga conto dell’approvazione degli Stati Membri, che sono gli stessi che hanno finanziato il fondo.
Con gli Eurobond, invece, un nuovo accordo avrebbe permesso al Belpaese di poter ridiscutere anche le condizioni di indebitamento. La solvibilità delle stesse obbligazioni, difatti, non sarebbe stata garantita da un singolo paese, ma da tutti i membri della zona euro congiuntamente. Questa divisione di responsabilità, però, non è stata accettata dai Paesi economicamente più forti, il che vuol dire l’Italia, una volta ottenuti i fondi del Mes, sarà l’unica responsabile della restituzione.
Se l’Italia, dunque, dovesse ricevere 100 miliardi di euro dal fondo salva-Stati, sarà lei stessa responsabile della restituzione. La cifra, di conseguenza, dovrà essere ammortizzata negli anni e, potendo contare solo sulle proprie entrate, i Governi a venire non potranno far altro che procedere ad aumento sistematico delle tasse per recuperare le risorse necessarie oppure ad un taglio della spesa pubblica.
Intanto il Premier Giuseppe Conte ha fatto sapere che la sua posizione nei confronti del Mes non è cambiata. L’incontro con l’Eurogruppo è stato definito solo un primo tempo, mentre degli Eurobond tornerà a discuterne con il Consiglio Europeo (con il quale spera di vincere la battaglia).
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