Coronavirus, arriva la richiesta di Antonio Rebuzzi, professore di Cardiologia all’Università Cattolica: è necessario indennizzare le famiglie dei medici morti sul campo. “Tutti ci dicono che siamo eroi, allora serve una proposta di legge”.
Antonio Rebuzzi si fa portavoce di una richiesta condivisa da molti: è necessaria una proposta di legge che riconosca un’indennità alle famiglie di medici e sanitari morti sul campo. Il professore di Cardiologia all’Università Cattolica di Roma e direttore della Terapia intensiva del Policlinico Gemelli, spiega che la retorica dell’eroismo non è sufficiente. E afferma: “Tutti ci dicono che siamo eroi, ma intanto 107 medici sono morti, come pure 28 infermieri. Allora serve una proposta di legge che tratti gli operatori sanitari morti in servizio esattamente come i poliziotti morti sul campo, riconoscendo le stesse indennità”. Il professore sollecita una decisione politica, e lo fa insieme all’Adnkronos Salute e al canale tv su Sky Doctor’s Life (seguito da circa 100 mila medici e farmacisti italiani).
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La richiesta è chiara, e Rebuzzi la ribadisce a scanso di equivoci: “Una proposta di legge che dia a medici e infermieri morti mentre erano impegnati a contrastare Covid-19 le stesse indennità dei poliziotti uccisi in servizio”. Poi rilancia: essere eroi non vuol dire solo ricevere il plauso nazionale, ma perdere la vita per un servizio di utilità pubblica. Esattamente come i poliziotti. E infatti aggiunge: “Siamo eroi? Alcuni colleghi sono morti alla soglia della pensione, altri richiamati in servizio, altri ancora quando avevano tutta la vita davanti. Dunque lo Stato deve riservare a questi operatori sanitari e alle loro famiglie lo stesso trattamento dei poliziotti morti in servizio: una somma agli eredi di questi colleghi, medici e infermieri caduti perché stavano facendo il proprio dovere. Vorrei proprio sapere chi sarà contrario, e soprattutto perché”.
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Si tratta, tra l’altro, di una richiesta che aveva iniziato a serpeggiare già due settimane fa, quando l’avvocato di Torino Gino Arnone aveva lanciato una richiesta simile. “Lo Stato dia un segnale forte e chiaro: deve indennizzare le famiglie di medici e infermieri deceduti per la loro attività di tutela della salute pubblica”, aveva affermato. L’avvocato, in quel caso, aveva minacciato di ingaggiare una battaglia legale ai danni dello Stato, per portar avanti le istanze della famiglia da lui rappresentata. E anche in quel caso, una punta di amarezza nei confronti della retorica dell’eroismo a mezza bocca: da un lato applaude, dall’altro non tutela. All’interno di un’intervista Arnone aveva specificato anche: “Abbiamo richiesto l’ammissione ai benefici di legge previsti per le vittime del dovere. Ci aspettiamo pertanto che alle declamazioni di principio arrivate da tutte la parti faccia seguito l’accoglimento delle nostre richieste senza necessità di attivare il contenzioso”. Alla voce legale, ora si aggiunge quella di Rebuzzi, che parla a nome del settore professionale direttamente interessato. Resta da vedere cosa avrà da dire lo Stato.
Continua il massacro di medici e sanitari
Intanto in Italia i dati su medici e sanitari morti a causa coronavirus aumentano di giorno in giorno. Al momento sono 107 i medici e odontoiatri deceduti. Tra questi, 9 erano odontoiatri. Dei rimanenti 97 medici, 43 erano medici di medicina generale. Gli infermieri sono 28, i farmacisti 6.
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Come emerge dai dati, sono soprattutto i medici di famiglia i più colpiti dal Covid-19. E’ quanto risulta dai dati della Fnomceo, che si basa su notizie di stampa e sulle segnalazioni degli Ordini. Si tratta quindi di dati probabilmente sottostimati. Il dato più rilevante si trova soprattutto in Lombardia, la regione con il più alto numero di medici di famiglia deceduti. Lo fa notare Roberto Rossi, presidente dell’Ordine dei medici di Milano. E afferma: “Già alla fine di febbraio dicevamo che eravamo a mani nude, la Regione ci dava giusto qualche mascherina. Abbiamo denunciato decine di volte questo problema”. Dalle parole di Rossi emerge chiaramente una critica nei confronti della gestione dell’emergenza, espressa in una dura lettera alla Regione. “Non ci lamentavamo perché eravamo rompiscatole ma perché ai medici di famiglia non arrivavano materiali. Anzi, occhialini, guanti e camici monouso non sono praticamente mai arrivati. Le mascherine ce le ha messe a disposizione qualche buon samaritano, come il Comune di Milano e alcuni privati. Se era per la Regione ce ne toccavano 20, più due flaconi di disinfettante e una confezione di guanti”.
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Parole durissime, che sembrano smascherare diverse falle nella gestione dell’emergenza coronavirus all’interno della Regione Lombardia. Difficile dire esattamente di chi sia la colpa, difficile capire ora cosa sia successo. Ma come commenta il presidente della Fnomceo Filippo Anelli, una cosa è chiara: “La sicurezza sul lavoro è un diritto dei cittadini, ma anche dei medici. È opportuno riflettere su quanto questo virus ci abbia colti impreparati e sul fatto che garantire la sicurezza sul lavoro è un dovere dello Stato“.