Si esprime l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) sull’emergenza coronavirus. Prevista perdita del 6,7% delle ore lavorate. Tradotto in posti di lavoro: 195 milioni di posti.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro rilascia previsioni terrificanti per il mondo del lavoro a causa della pandemia da coronavirus. Per stare alle parole rilasciate, prima di passare ai numeri, nella nota l’Oil fa riferimento a “perdite devastanti in termini di ore di lavoro e occupazione“. L’agenzia delle Nazioni Unite aveva già pubblicato un rapporto a riguardo, datato 18 marzo: si parlava di ben 25 milioni di futuri disoccupati. Nonostante le previsioni fossero già tragiche, nell’ultimo rapporto diventano catastrofiche. La stima delle perdite è ben peggiore di quanto ci si aspettasse. Secondo l’Oil è alto il rischio che la previsione della perdita di 25 milioni di posti di lavoro, causa coronavirus, sia una previsione ancora ottimistica.
Passiamo ai numeri. Nel rapporto è prevista una riduzione del numero di ore lavorate pari al 6,7% nel secondo trimestre 2020. Quella percentuale corrisponde a circa 195 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Ma la stima potrebbe peggiorare ancora a seconda dei settori. In alcuni settori specifici, addirittura, la perdita di posti lavoro potrebbe riguardare 1,25 miliardi di persone. Migliaia e migliaia di persone travolte dal “drastico e devastante” aumento di licenziamenti. E laddove non si è giunti alla drastica decisione, in molti si sono comunque visti ridotti salari e orari di lavoro. Stime catastrofiche, che il direttore generale dell’Oil, Guy Ryder, mette al centro dell’attenzione. Soprattutto perché il futuro del lavoro dipenderà dalle decisioni prese oggi n emergenza coronavirus. E infatti afferma: “Le scelte che facciamo oggi influenzeranno direttamente il modo in cui questa crisi si svilupperà e la vita di miliardi di persone”. Ma quali sono, allora, i settori più a rischio? Alloggi, ristorazione, settore manifatturiero, della vendita al dettaglio e delle attività commerciali e amministrative. Per non parlare poi dei lavoratori nel “settore informale”, soprattutto nelle economie emergenti e in via di sviluppo. Solo loro, sono due miliardi.
Inoltre, le perdite saranno distribuite in maniera eterogenea non solo tra settori, ma anche tra Paesi. L’agenzia dell’Onu prevede grosse perdite tra diversi gruppi di Paesi, e concentra l’attenzione sui Paesi a reddito medio-alto. Questi saranno coinvolti da perdite che supereranno largamente i già tragici effetti della crisi finanziaria 2008-2009.
Tuttavia, anche se le perdite saranno scaglionate in base ai settori e ai Paesi, si tratterà di uno sconvolgimento globale a cui nessuno sarà immune. Sempre per tornare ai numeri, più di 4 persone su 5 (l’81% della forza lavoro globale) è ora toccata dal lockdown imposto. Si parla di 3,3 miliardi di lavoratori. E Guyy Ryder commenta: “I lavoratori e le imprese si trovano di fronte a una catastrofe, sia nei Paesi a economia avanzata che in quelli in via di sviluppo. Dobbiamo muoverci velocemente, in modo deciso e congiunto. L’adozione tempestiva di misure efficace potrebbe fare la differenza tra la sopravvivenza e il collasso”. La crisi è e sarà dunque trasversale, una crisi che l’Oil definisce “la peggiore crisi globale dopo la seconda guerra mondiale“.
Che fare, allora? Secondo l’Oil bisogna adottare misure integrate e su larga scala. Ed è necessario che queste misure abbiano 4 linee guida: sostenere le imprese, l’occupazione e il reddito; stimolare l’economia e l’occupazione; proteggere i lavoratori; e instaurare un dialogo tra governi, datori di lavoro e lavoratori. Si tratta di misure globali, urgenti e delicate. “Questo è il più grande test per la cooperazione multilaterale in oltre 75 anni. Se un Paese fallisce, allora falliamo tutti. Dobbiamo trovare soluzioni a livello globale che aiutino tutti i segmenti della nostra società. In particolare quelli che sono maggiormente vulnerabili o meno in grado di aiutare se stessi. Adottando misure efficaci possiamo limitare l’impatto di questa crisi e attenuare le cicatrici che questa lascerà”.
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