La magistratura ha aperto un’inchiesta sulla morte di almeno una settantina di ospiti del Pio Albergo Trivulzio di Milano che avevano accusato quelli che sembravano i sintomi di una bronchite: era il coronavirus.
Con i suoi milletrecento posti letto il Pio Albergo Trivulzio di Milano è una delle case di riposo e di assistenza per gli anziani più grandi d’Italia. Sicuramente una delle più importanti e tradizionali.
Fu fondata nel 1771 da Antonio Tolomeo Trivulzio che a Milano è considerato un vero padre della città, illuminista che ha scritto molti testi sull’assistenza agli anziani e ai malati, amico personale di Verri e di Beccaria.
In senso assoluto il PAT è una Fondazione con molti anni di storia e di servizio. Non mancano anche le zone d’ombra con diverse indagini, alcune delle quali anche recenti. La più eclatante quella che scoperchiò uno dei filoni di Tangentopoli, era il 1992.
Alcune di queste avevano colpito in modo molto duro le amministrazioni precedenti soprattutto per alcuni finanziamenti esercitati in modo piuttosto disinvolto. Ora la questione è completamente diversa: si parla di settanta anziani che sarebbero morti in circostanze da chiarire. Sulla questione la magistratura ha aperto un’inchiesta. Le vittime avrebbero accusato quelli che sono stati definiti i sintomi di una bronchite e che invece era, purtroppo, il principio del coronavirus.
L’inchiesta è partita dalla denuncia di un sindacalista, delegato Cgil della rappresentanza sindacale dell’istituto, Pietro La Grassia. È lui stesso a spiegare che cosa sia successo e quali potrebbero essere le responsabilità: “Che le cose non andassero come doveva me ne sono accorto fin dall’inizio del mese di Marzo quando il professor Luigi Bergamaschini, uno dei geriatri più qualificati non solo di Milano ma d’Italia ha subito un provvedimento di esonero perché aveva chiesto a tutto il personale alle sue dipendenze di utilizzare le mascherine”.
Evidentemente il medico si era accorto che qualcosa non andava ma la richiesta non solo non viene accolta dalla direzione generale della Fondazione: Bergamaschini, di fatto viene rimosso e a medici e paramedici viene chiesto di non indossare alcuna mascherina.
La magistratura, l’indagine al momento è ancora a carico di ignoti, indaga sulla mancata comunicazione dei contagi e dei decessi: “Gli anziani morivano e a noi, nonostante l’evidenza dei sintomi, dicevano che si trattava solo di bronchiti e polmoniti stagionali – denuncia il sindacalista, che aggiunge – il risultato è che ora al Trivulzio abbiamo sette reparti isolati completamente e due vuoti perché non accettiamo più nuovi pazienti. Nella struttura di Merate novanta persone sono state poste sotto osservazione. Al Principessa Jolanda di via Sassi due reparti sono in isolamento”.
Quando non è stato più possibile nascondere che Pio Albergo Trivulzio ospitasse una grande quantità di casi di COVID19… “A quel punto ci è arrivato l’ordine di non trasferire più i pazienti in pronto soccorso dove forse ci sarebbe stata la possibilità di offrire almeno le cure necessarie – conclude La Grassia – e magari anche di salvare qualcuno”. Un atteggiamento che, purtroppo, è stato riscontrato in moltissime altre case di cura italiane dove gli anziani malati di coronavirus, senza alcun tampone né terapia, sono letteralmente stati fatti morire nei loro letti.
Stando alle statistiche, fredde e inattaccabili, solo a marzo i morti nel grande edificio di via Trivulzio sono stati settanta. Molti più della consueta media mensile. Nei bollettini si scrive che solo nove pazienti sarebbero morti con uno stato di COVID19 conclamato, ma nella realtà sarebbero molti di più”.
Nel frattempo il professor Luigi Bergamaschini, che non si è limitato a confermare tutta la ricostruzione, è stato riammesso in servizio il 25 marzo anche perché l’università Statale aveva minacciato un’azione legale. “Quando l’epidemia si è presentata e chiedo l’utilizzo delle mascherine chirurgiche mi rispondono che non ce ne sono e chi vuole se le procura. Io, anche se mi è stato risposto che non ero io il direttore sanitario ne ho semplicemente autorizzato l’impiego” – dichiara in un’intervista all’edizione milanese di Repubblica.
“Ma quando il 25 marzo sono rientrato in servizio — continua Bergamaschini — ormai al Pio Albergo Trivulzio si respirava un clima di terrore. Già si conoscevano i metodi autoritari del direttore Calicchio, giunto a sospendere un vecchio primario ormai prossimo alla pensione. Ma non riesco davvero a capacitarmi di che cosa lo abbia spinto a tenere sotto silenzio la grave situazione delle nostre strutture”.
Il Trivulzio è un’istituzione storica e molto amata di Milano sulla quale convergono lasciti e donazioni di milioni di euro. Nel 2003 la struttura, con la fusione con altre due istituzioni storiche come Martinitt e Stelline è diventato un colosso. Prima si è pensato al risanamento, poi alla rendita delle tantissime proprietà immobiliare entrate nel patrimonio ma, purtroppo, come accade quasi sempre nella gestione di questi colossi, la politica è la longa manus: la nomina del presidente del Pio Albergo Trivulzio spetta al sindaco di Milano, Beppe Sala. Il resto lo fanno i rapporti personali degli individui che spesso sono deviati da anni di coabitazione forzata e connivenze politiche.
Sarà un caso. Ma la notizia dell’indagine, che rischia di scoperchiare un caso di proporzioni drammatiche, viene reso pubblico proprio nel giorno della Domenica delle Palme. Magari non molti lo sanno ma del Pio Albergo Trivulzio scrisse anche il grande Fabrizio De André. In “La domenica delle Salme” fa riferimento a un ospite, un poeta clochard bruciato nel sottotetto della struttura più grande che i milanesi chiamano “La Baggina”.
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