Coronavirus. Il Css frena sui test sierologici, le Regioni: li abbiamo iniziati

I test sierologici, in grado di individuare se c’è stata risposta immunitaria a un’infezione in tempi rapidi, sono al centro delle discussione tra esperti, il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, vuole risposte più sicure.

Test sierologico sì o no? Il mondo scientifico si divide. Qualcuno si è mosso autonomamente, vedremo chi, ma la linea guida del Ministero della Sanità è abbatanza chiaro e invita alla prudenza. I tempi di valutazione sembrano ancora lunghi, ma l’emergenza coronavirus è oggi. La scelta del test sierologico non è ancora stata definita proprio perché vogliamo avere dei dati solidissimi e di assoluta affidabilità in termini di sensibilità e di specificità. Questi studi partiranno presto e al di là dell’aspetto che riguarda la scelta del test diagnostico”. Lo ha detto ieri in conferenza stampa alla Protezione Civile, il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, aggiungendo che “c’è già in atto anche tutto un percorso di organizzazione e di definizione procedurale di quello che sarà il dimensionamento campionario e la metodologia per condurre questi studi e quindi come andare a definire la popolazione da investigare, come ottenere il campione di sangue e come trasferirlo nei laboratori”. Tutto, ha spiegato il presidente del Css, “nel modo più efficiente e agile per ottenere risposte rapide perché – ha proseguito – questo è un tipo di valutazione assai importante sia per definire una circolazione del virus sia per andare a valutare adeguatamente il tasso di letalità sia anche per impiegare questi dati in strategie utili per il decisore politico per una ripresa di attività produttiva piuttosto che per un allentamento graduale cauto, molto attento, delle misure di distanziamento sociale”.

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Il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia aveva detto: “servono linee guida chiare e urgenti” per i test sierologici “perché è illusorio pensare ad un mondo senza positivi tra un mese”. Una richiesta che ha fatto anche la Regione Lazio che chiede “una strategia nazionale unica”. Ma le Regioni non stanno ad aspettare. Nel Veneto sono stati avviati test con i dipendenti della sanità e delle case di riposo. L’esame – che ha ricevuto la validazione delle Università di Padova e Verona – consiste in un prelievo del sangue per andare a cercare nei soggetti la presenza delle immunoglobuline, in grado di indicare se c’è stata o meno l’immunizzazione. L’Emilia Romagna, da Piacenza a Rimini, ha annunciato che lo screening per il Covid-19 verrà effettuato su tutto il personale della sanità e dei servizi socioassistenziali. La Regione sta pensando al dopo pandemia: si farà un’indagine su un campione di popolazione per capire che percentuale di cittadini ha avuto l’infezione e non se n’è accorta. Anche la sanità ligure ha iniziato i test sierologici sul personale sanitario e gli ospiti delle Rsa. E nei prossimi giorni saranno coinvolti anche i donatori di sangue. E sempre per gli ospiti delle Rsa il Piemonte ha iniziato uno screening a tappeto col test sierologico. Una serie di monitoraggi sono in corso anche nelle Marche mentre in Puglia si è partiti dagli ospedali.

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