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Cronaca

Linda, un’italiana malata a Londra: “Ci lasciano morire in casa come cani”

Il servizio sanitario del Regno Unito si trova ad affrontare una serie di emergenze che non aveva né previsto né calcolato e che in questo momento diventano drammatica per migliaia di persone che rischiano di morire senza alcuna assistenza.

Aiuto…

Affida il suo messaggio a un video su You Tube crudo, violento, difficile da accettare. Un video che è stato girato in Gran Bretagna dove, a quanto pare, la violenza con la quale il coronavirus si è abbattuto sulle persone normali non è del tutto chiara non solo a chi vive fuori dal Regno Unito, ormai proiettato all’esterno dell’unione europea dalla Brexit ma anche all’interno del territorio stesso dei sudditi di Sua Maestà.

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Londra non capisce

Che a Londra si stia vivendo in una sorta di limbo, dove molti continuano regolarmente a lavorare e ad affollare le metropolitane e tantissimi, ogni giorno, non rinunciano alla passeggiata sul Tamigi o ad Hyde Park è chiaro dalle immagini diffuse da tutte le agenzie di stampa. A poco sono serviti i richiami da parte del presidente del consiglio Boris Johnson, anche lui, come altri due ministri e il responsabile stesso della sanità nazionale al coronavirus, a restare in casa e cambiare le proprie abitudini. Gli inglesi fanno fatica a rinunciare a qualsiasi cosa, persino al pub.

L’appello di Linda

Ma il video che arriva da Linda Pasqui e qualcosa di sconcertante: la donna, 49 anni, vive a Londra da molto tempo, fa l’avvocato. Convive con una persona che ha problemi di salute, soffre di cardiopatia. Lei, nata a Pontecorvo in provincia di Frosinone, ha scelto Londra per svolgere la propria professione. È una scelta, per la verità, molto comune anche tra gli italiani più giovani che vedono in Londra, soprattutto da prima della Brexit, una grande occasione di guadagno, di libertà e di autodeterminazione.

L’esercito italiano in UK

Gli italiani che vivono in Inghilterra sono almeno 700.000 e non hanno alcuna intenzione di tornarsene a casa. Di questi almeno 150.000 hanno scelto di salire in Inghilterra, e non solo a Londra ma anche a Manchester, Liverpool, Newcastle , nelle grandi città universitarie e in Scozia solo negli ultimi 15 anni. Un piccolo esercito, che ora si sente abbandonato a se stesso.

“Ci lasciano morire come cani”

La denuncia di Linda, nel proprio video su Facebook virgola è lancinante: “Ho chiamato tutti i numeri per le emergenze ho denunciato di avere la febbre alta, i dolori al petto le difficoltà di respirazione ma a quanto pare i casi sono troppi e nessuno è potuto venire a dare un’occhiata. Non ho parenti vicino: l’unica cosa che mi dicono è che non sono in grado di fare nulla, mi dicono di restare in casa di non uscire e che cercheranno di effettuare un intervento quanto prima possibile… In realtà ci fanno morire come cani”.

Ma questo intervento virgola di fatto virgola non arriva mai Tant’è che Linda, attraverso i social, si è vista costretta – e forse non l’avrebbe mai creduto possibile – a chiedere aiuto all’Italia anche solo per far conoscere le condizioni in cui sta vivendo e che , come lei, riguardano sicuramente diverse centinaia di altri italiani residenti nel Regno Unito.

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Londra ringrazia gli operatori del servizio sanitario nazionale con scritte e luci accese in tutta Londra (Photo by Julian Finney/Getty Images)

Un sistema al collasso

Non si tratta né di razzismo né di isolazionismo. È proprio che le NHS, il servizio nazionale britannico, sta facendo quello che può e quello che può, evidentemente non basta nel modo più assoluto. Ieri in Inghilterra sono stati registrati oltre tremila contagi e 569 morti. Qualche giorno fa aveva destato sensazione è anche un po’ di scandalo il caso di un ragazzo di soli 19 anni, Luca originario di Teramo, che era morto a Londra, quasi certamente di coronavirus. Ma di fronte a un obitorio stracolmo e all’impossibilità di poter effettuare esami diagnostici certi, non è stato sottoposto né ai tamponi né alle cure del caso. È stato decreto morto. Punto. Per collasso cardiocircolatorio in circostanze imprecisate

È servito un intervento dell’ambasciata per ottenere il tampone post mortem che ha verificato che Luca era morto positivo al COVID19 e le persone che vivevano accanto a lui sono state sottoposte a una profilassi, probabilmente tardiva.

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