La vita di Adele, capolavoro sensuale diretto da Abdellatif Kechiche e adattamento cinematografico del romanzo a fumetti Il blu è un colore caldo di Julie Maroh, arriva finalmente su Netflix. Il film si è aggiudicato la Palma d’oro al Festival di Cannes 2013 ma non è stato risparmiato da pesanti critiche.
La vita di Adele si aggiunge al catalogo della piattaforma Netflix. Il film del 2013 diretto da Abdellatif Kechiche sconvolse Cannes, aggiudicandosi la Palma d’oro, ma fu anche duramente criticato per la presenza di scene di sesso ritenute da alcuni troppo esplicite, quasi al limite della pornografia. La stessa autrice del fumetto da cui il film è tratto disse di averle trovate lontane dallo spirito della propria opera, bollandole come “forzate”, nonché “frutto di un’interpretazione di voyeurismo maschile”.
Nelle tre ore del film lo spettatore segue la protagonista Adele per circa un paio di anni, durante i quali lascia la scuola, conosce Emma, la frequenta, scopre la sua omosessualità, supera le ritrosie e passa tutti quei tipici momenti che caratterizzano un rapporto sentimentale al cinema, osservando tutti i luoghi comuni (e persino le banalità) attraverso i quali si raccontano le relazioni sul grande schermo. Eppure la grande forza de La vita di Adele sta proprio nel modo in cui riesce a coinvolgere lo spettatore nella banalità del quotidiano, come se si stesse ascoltando un amico e partecipando con lui in una vicenda sentimentale che non ci riguarda ma di cui conosciamo tutti i passaggi. Un risultato difficilissimo da ottenere e che negli ultimi anni solo le grandi serie tv drammatiche americane sono riuscite ad ottenere (ma mai in tre ore di film).
C’è una narrazione interna nelle lunghissime scene di sesso che è veicolato dal contatto tra i corpi e dai rumori e dalle inquadrature (sempre vicine) attraverso cui queste vengono messe in scena. Proprio nella volontà registica di non indugiare mai, di non tagliare nulla, emerge con straordinaria forza la titubanza di Adele. È proprio questo sguardo ravvicinato e innamorato della carne e della sua forza attrattiva la caratteristica princiaple de La Vita di Adele e della filmografia di Kechiche (che anche prima di questo film si era sempre dimostrato interessato alle esigenze più terrene degli esseri umani, non solo il sesso ma anche e soprattutto il cibo). Ogni inquadratura del regista tunisino vuole affermare il dominio del corpo sulla ragione. È la carne la fonte di ogni debolezza e di ogni forza umana. Nessuno può quindi trattenere razionalmente quello che i propri istinti gli comandano.
È un cinema radicale, che si serve quasi esclusivamente di corpi attraenti per raccontare, che si emancipa dalla necessità di caratterizzazioni approfondite limitandosi ad osservare da vicino i contatti fisici tra le persone per descriverne le relazioni. Kechiche dilata ogni momento e asciuga la trama per non doversene preoccupare troppo. Ne La Vita di Adele c’è già tutto il cinema che sarà poi estremizzato nei successivi “canti” della serie Mektoub, oggetto di critiche talmente aspre da bloccarne l’uscita.
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