Con un intervento pubblicato dal Corriere della Sera l’opinionista, voce del ministero della pubblica istruzione per la lotta alla droga, non si capacita di come non le abbiano ancora fatto il tampone.
È triste da dire anche nella civilissima Italia dove ogni sera la televisione si affanna a farci vedere una realtà che trasuda buonismo e solidarietà si debba anche riscontrare altro. Ieri, in diretta, un figlio che aveva appena perso il padre e la madre, a distanza di tre giorni l’uno dall’altro per il coronavirus, si diceva garbatamente preoccupato e insicuro perché nessuno aveva ancora ritenuto utile fargli il tampone. “Mio padre è morto solo – ha detto in lacrime – e non capiva perché nessuno di noi lo aveva visitato, perché lo avessimo abbandonato… Si è sentito abbandonato”. E questa cosa forse un figlio non saprà perdonarselo mai.
I tamponi per i calciatori si sono trovati immediatamente: per la gente normale con morti o contagiati in casa un po’ meno. Non è dietrologia, ma un dato di fatto. E ora la stessa cosa riguarda Giorgia Benusiglio, una donna di 37 anni molto nota perché da anni lavora come influencer. Il termine nel suo caso è più indicato: Giorgia non parla di shampoo e cinture, di scarpe e rimmel, di fondotinta e diete. Ma cerca di tenere lontani i ragazzi dalle cazzate, avendone fatto lei una gigantesca.
“Quand’ero una ragazzina, ho mandato giù una mezza pasticca di ecstasy e ho detto addio per sempre alla mia salute”. A Giorgia hanno trapiantato il fegato: ed è una di quelle cui è andata bene. Perché lo può raccontare: e potendolo fare va nelle scuole, parla ai ragazzi che frequentano rave e discoteche. Sono gli stessi che dicono “esco, cosa potrebbe succedermi?” Sono gli stessi che per curiosità possono lasciare la pelle davanti a una pastiglia colorata: perché lo fanno tutti. Che può succedere?
“Da cinque giorni ho la febbre a 38, una tosse che mi tormenta, non riesco quasi a parlare, non mangio più niente di solido e comincio a respirare a fatica – scrive Giorgia – ho chiesto inutilmente di fare il tampone quindi non so se sono positiva o no. Ma una cosa la so: ho paura, e me ne vanto. Ho il diritto di avere paura e so che la paura può salvare la vita perché accende campanelli di allarme, ti mostra i rischi, ti rende consapevole delle conseguenze di fare o non fare”.
Il virus ha atterrato gente normale e imprenditori, ricchi e morti di fame, principi e straccioni. Ma uno straccione difficilmente vedrà il tampone, così come il morto di fame: e non è che Giorgia lo reclami per sé. Tuttavia… “Vivo da sempre da immunodepressa, sono un soggetto ad alto rischio di contagio. In tempi ancora non sospetti i miei esami avevano rivelato valori non buoni e, per precauzione, mi sono messa in quarantena senza aspettare che me lo chiedesse un medico. Ma ho avuto contatto con il mio compagno e con mia madre e forse la mia precauzione non è bastata. Dico forse perché, appunto, non ho fatto il test. Lo fanno solo se ti ricoverano e i medici che mi hanno in cura, al Niguarda di Milano, mi sconsigliano il ricovero perché sono troppo vulnerabile. Sapere adesso se ho il virus mi aiuterebbe, anche solo psicologicamente. Perché se dovesse arrivare il peggio e dovessi diventare grave non perderei tempo prezioso nel test. E poi perché ho motivo di avere paura. E mi aspetterei che lo Stato non mi lasciasse indietro”.
Lo Stato, che Giorgia scrive correttamente maiuscolo anche se di tanto in tanto qualche dubbio viene anche a chi ha fatto dello scrivere la sua prima attività, non dovrebbe lasciare nessuno indietro.
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