Emergenza coronavirus: il ministro della Giustizia Bonafede ha risposto a un’interrogazione parlamentare sull’impatto del decreto legge in materia di svuotamento delle carceri. E ha affermato: “Saranno circa 6.000 i detenuti che potrebbero lasciare il carcere”
“Sono 6000 i detenuti che potenzialmente potrebbero lasciare il carcere per passare alla detenzione domiciliare“, afferma il ministro della Giustizia Bonafede. Oggi il ministro ha presieduto a un’interrogazione parlamentare sull’impatto del nuovo decreto legge per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Il decreto sarà oggetto di conversione in Senato nei prossimi giorni. Il nuovo provvedimento prevede la detenzione domiciliare per reati non gravi con residuo di pena di 18 mesi. In sostanza, il decreto si rivolge a chiunque si sia macchiato di reati non gravi. Secondo il provvedimento potrebbe passare ai domiciliari, ma solo fino al 30 giugno, chi deve scontare ancora 18 mesi. E, informa oggi Bonafede, in termini numerici si parla di circa 6.000 detenuti. Fino ad ora, grazie a questo provvedimento, sono 50 i detenuti già ai domiciliari. Tuttavia, aggiunge il ministro: “Questo dipenderà da diversi requisiti e variabili (come per esempio, il domicilio idoneo) che dovranno essere accertati dalla magistratura”. L’ultima parola spetterebbe dunque alla magistratura.
Molte sono state le polemiche in questione, soprattutto dovute alla carenza di braccialetti elettronici. Il numero potenziale di 6.000 detenuti ai domiciliari si scontra con un dato: sono solo 2.600 i braccialetti elettronici ad oggi disponibili. Questo varrà fino al 15 maggio, fa sapere il ministro della Giustizia. Ha poi aggiunto: “Questi braccialetti non hanno costi ulteriori, in quanto compresi nel contratto triennale, siglato nel 2018, per un valore complessivo di 23 milioni di euro”. E sempre a proposito dei provvedimenti presi prima dell’emergenza coronavirus, fa notare: sono 2.643 i detenuti usciti dalle carceri nelle prime tre settimane di marzo. E aggiunge: “Questo è dipeso prevalentemente dalle leggi vigenti prima del dl Cura Italia”.
Si tratta di un tema caldo. Complici anche i recenti fatti di cronaca: le rivolte dei detenuti di diverse prigioni italiane. A questo si aggiungono i primi casi di contagio in carcere, che evidenziano l’esigenza di evitare che la situazione degeneri. Su questo le posizioni si scindono. Da un lato c’è il Pd, con il responsabile Giustizia Walter Verini, che sollecita misure di alleggerimento della popolazione carceraria. Dall’altro c’è la Lega che già si dichiara contraria. Il leader della Lega Matteo Salvini ha affermato: “Sono più protetti in carcere. Se denunciamo quegli italiani che mettono a rischio la salute degli altri andando in giro e li mettiamo in carcere, perché contemporaneamente facciamo uscire spacciatori, rapinatori o truffatori?“. E proprio alla Lega risponde Bonafede durante l’interrogazione. Il ministro ha fatto notare che a seguito della legge svuotacarceri del 2010 approvata anche dalla Lega, furono 9.000 i detenuti scarcerati. Con l’attuale dl sarebbero invece massimo 6.000. “Nel 2010, senza alcuna emergenza sanitaria, andava bene perché c’era il voto della Lega Nord nel governo Berlusconi; oggi che la Lega è all’opposizione, non va più bene e sarebbe addirittura, un ‘indulto mascherato”. Segue, poi, l’invito a una collaborazione e a evitare polemiche sterili.
Dalla senatrice Paola Nugnes arriva, poi, un altro invito: prestare attenzione all’emergenza sanitaria, abbandonando polemiche fuori luogo. La senatrice ha affermato: “Il rischio del collasso per contagi nelle carceri è altissimo, la politica deve superare la distinzione tra le persone e considerare i detenuti cittadini con dei diritti da rispettare che devono essere tutelati e difesi”. E rilancia: “Il braccialetto elettronico va potenziato, ma non può essere l’elemento preclusivo la mancanza di braccialetti. La platea va allargata almeno ai quattro anni di pena residua se si vuole diminuire il rischio”.
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