Il commissario alla protezione civile Angelo Borrelli risponde a Repubblica, lasciando intendere che i numeri che ogni pomeriggio puntuale alle 18:00 comunica ai cittadini, dalla sede della Protezione Civile di Via Ulpiano a Roma, sono intossicati. Si ragiona su un numero di un contagiati di dieci volte tanto.
È un paradosso che ha del ridicolo. Perché in un paese come l’Italia dove l’uso dei dati personali è protetto (anche se istituzioni governative controllano operazioni di banca stornando soldi mentre i colossi del marketing effettuano ricerche commerciali di ogni tipo su ogni singolo cliente) pare sia proprio la privacy a renderci più debolI di fronte al coronavirus.
“Io per fortuna sto bene – dice il commissario alla protezione civile Angelo Borrelli ai giornalisti nella tradizionale conferenza stampa delle 18 di ogni giorno – ma il mio staff conta dodici persone malate e i colleghi, gli amici e le persone con cui collaboro che si sono ammalate ormai non le conto nemmeno più. Il virus fa il suo lavoro: agisce in modo sistematico ed efficace, lui non deve confrontarsi con la burocrazia”.
La battuta di Borrelli si riferisce al fatto che la Cina e la Corea stiano a poco a poco vincendo il confronto con la malattia grazie a un uso massiccio dei dati della popolazione: tamponi anche sugli asintomatici immediatamente tracciati attraverso il GPS dei loro telefonini, tanto per cominciare. In Cina, dove la democrazia non è ancora una conquista assodata, l’hanno fatto senza chiederlo. E hanno avuto ragione perché i dati, messi in sistema hanno consentito di chiudere nell’Hubei l’emergenza che a poco a poco si va risolvendo mentre il resto del paese continuava a lavorare e a produrre.
La civilissima e superdemocratica Corea del Sud ha fatto la stessa cosa: il governo ha chiesto la collaborazione dei colossi delle comunicazioni e delle grandi aziende tecnologiche. E il loro tasso di mortalità è tra i più bassi del mondo, 1.3%, 612 vittime su 9037 contagiati. In Italia è del 9.5%.
Borrelli guarda i numeri e sa che bisognerebbe fare di più, ma non dipende certo dai medici e nemmeno dalla Protezione Civile: “Guardo con attenzione e favore il trend in calo ma non mi sento ancora di sbilanciarmi. Questa è una settimana molto importante per noi per valutare l’andamento delle nostre curve. Dobbiamo assolutamente fare in modo che le curve del nord non si ripropongano al sud. Questo virus non farà sconti e non ha finito il suo lavoro. La previsione di 600mila contagiati? Verosimile…”
È evidente che i fattori che hanno fatto deflagrare il virus sono stati molti e spesso collegati tra loro. La partita di calcio Atalanta-Valencia, con 50mila persone allo stadio di San Siro il 21 marzo scorso ha dato il colpo di grazia a Bergamo, una delle città industriali più dinamiche e collegate d’Italia. Ma a Pesaro, seimila contagi e 263 morti, sono in molti a sostenere che la Final Eight di Coppa Italia di basket tra Milano, Brescia, Sassari, Brindisi, Venezia, Cremona, Fortitudo e Virtus Bologna non sia stata una buona idea. Trentaseimila spettatori provenienti da ogni parte d’Italia per quattro giorni di partite. E poi gli esodi, soprattutto da verso sud, senza alcun controllo. Le conseguenze di questi ultimi non sono ancora chiare e, forse, non sono ancora nei dati.
“I numeri sono e restano alti, inutile farsi illusioni, inutile pensare che un giorno di flessione possa significare la fine – dice Borrelli – ci aspettiamo un picco e non sappiamo con precisione per quando, possiamo solo fare di tutto per essere pronti e mantenere misure rigorosissime convincendo gli italiani che quello che stanno vivendo non è un film. Tutti dati di oggi sono il risultato del comportamento delle persone precedentemente alla stretta delle prime delibere”.
“All’appello in Italia mancano almeno 250mila asintomatici, per la maggior parte concentrati in Lombardia, e altri 200mila sintomatici, che sicuramente ci sono. Il virus è sempre lo stesso nelle varie regioni, quello che cambia è il fatto che in Veneto sono stati fatti molti più tamponi che altrove”. Lo afferma il prof. Andrea Crisanti, direttore dell’unità di microbiologia e virologia di Padova, a cui la Regione Veneto ha affidato il coordinamento della campagna di tamponi a tappeto, partendo dal personale sanitario. Crisanti, in un’intervista al Gazzettino, spiega che l’obiettivo è di passare dagli attuali 2.000 a 4.000 test al giorno, per arrivare in 3-4 settimane, a 20mila al giorno. Secondo l’ultima rilevazione comparabile, i 61.115 test effettuati in Veneto hanno permesso di scovare 5.505 malati (un positivo ogni 11 esami), mentre in Lombardia, regione che ha il doppio di abitanti del Veneto, i 28.761 contagiati sono stati trovati con 73.242 analisi (uno ogni 2,5).
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