Un’arma per combattere il Coronavirus prima, durante e dopo: la tecnologia

Non ci sono solo i farmaci a potere arginare l’emergenza coronavirus, in aiuto per prevenire il virus e poi controllarlo, arriva dalla tecnologia, capace anche di gestire il decorso post infezione.

Non solo farmaci, comunque essenziali, non solo mascherine o guanti, non solo restrizioni, non solo medici in prima linea, ma anche tecnologia per combattere il coronavirus. Lo spiega bene la giornalista Milena Gabanella sul Corriere. “L’ordine, per tutte quelle persone che non svolgono un’attività cruciale a mantenere in piedi il Paese, è di stare in casa. Una regola che in troppi violano, perché stiamo ancora combattendo con le armi del Novecento. Per vincere la sfida a questo virus subdolo bisogna partire dalle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: «Trova il contagiato, isolalo, testalo, tratta ogni caso e traccia ogni contatto”. La domanda è: come farlo? “Per fare questo rapidamente le autorità possono chiedere agli operatori mobili di mettere a disposizione i dati in loro possesso, tecnologie efficienti per controllare il rispetto del distanziamento sociale su larga scala, con risparmio di risorse umane delle forze dell’ordine e canali di comunicazione con i cittadini. Tutti i cellulari sono «agganciati» alle celle. La rete, per essere gestita, deve sapere quanti sono attaccati a quali celle e e «chi» è attaccato «dove» (altrimenti le chiamate e i dati non potrebbero arrivare e partire). Quindi in aggregato gli operatori telefonici conoscono la densità per area e gli spostamenti. Dati che vengono già conservati per un lungo periodo in caso l’autorità giudiziaria ne richieda l’utilizzo.

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Ricostruire contatti e spostamenti dei contagiati, dunque, può essere determinante per arginare nuove infezioni.Molte applicazioni – spiega Gabanelli – come Facebook, Google maps, Mytaxi, Uber, Find-my-phone, Deliveroo – usano il Gps degli smartphone per dare la localizzazione del telefono, autorizzata dal possessore nelle condizioni iniziali. Questa localizzazione è molto precisa (e difatti Uber ti prende all’angolo e Deliveroo ti legge l’indirizzo di casa) e permette comunicazioni mirate geograficamente. In questo modo è possibile: “individuati i casi di nuovi contagiati, rintracciare i contatti dei 15 giorni precedenti e testarli per interrompere la catena di contagio.
Sapere chi si sposta dal luogo di residenza, e dove va rispetto alle concentrazioni di contagiati è l’essenziale fotografia di partenza quando si stabiliscono blocchi alla mobilità.
Installare una app che individua «chi» e «dove». Per esempio se risiedi a Milano quartiere Lorenteggio, puoi vedere che al quartiere Sempione ci sono molti casi dichiarati. Mantenere una fotografia «autodichiarata» della localizzazione dei sintomatici non testati aggiornata in tempo reale. Assicurarsi che i contagiati in quarantena non si muovano (si possono metter sotto tracciamento e far partire un allarme se il telefono si muove). Istruire le aziende che hanno lavoratori essenziali a consegnare un coupon elettronico che li autorizza a uscire (origine-destinazione dichiarati dall’azienda) e può esser verificato dalle autorità di polizia mostrando il telefono (senza autocertificazioni). Distribuire il flusso nei trasporti pubblici e supermercati su diverse fasce orarie attraverso sms con ora dedicata, indicando a gruppi di residenti predefiniti le ore a loro dedicate, in modo da evitare affollamenti. Dare priorità agli anziani, mantenendo nelle ore dedicate a loro una minore densità. Funzionalità che saranno importanti anche dopo la fase acuta, quando si dovranno riprendere gradualmente le attività e partiranno anche nuove onde di contagio che andranno rapidissimamente fermate.

“Al lavoro c’è una squadra Covid-19 composta da personale sanitario e tecnico che adotta un algoritmo procedurale per l’individuazione di casi sospetti. Vengono sottoposti a screening coloro che sono domiciliati o hanno soggiornato a lungo nelle zone rosse, i familiari dei casi sospetti o confermati e chi ha avuto rapporti stretti con pazienti ricoverati provenienti dalle zone rosse o dalla Cina. Il team alle dipendenze della Protezione civile, in base alle condizioni cliniche, stabilisce la necessità di ricovero ospedaliero o di test per Sars-CoV-2 e isolamento in caso di positività. Non è considerata la platea degli asintomatici, che possono continuare ad andare al lavoro (per esempio tutte le categorie che stanno garantendo i servizi essenziali), o i sintomatici lievi, ai quali viene solo consigliato di stare a casa. Potrebbero essere decine di migliaia e infettare a loro insaputa. Molti laboratori privati di diagnostica sono già attrezzati per coprirne migliaia alla settimana, ma le indicazioni del ministero della Salute predispongono il tampone solo per i casi sintomatici che necessitano di ricovero e devono essere eseguiti solo dai laboratori accreditati, pochi per regione. Da ieri potranno identificarne di aggiuntivi. Il nuovo test diagnostico dell’italiana Diasorin, che ridurrà il processo di analisi ad un’ora (oggi la media è di sei), è pronto per andare in commercio, ma verrà consegnato solo ai laboratori ospedalieri.

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In un documento, già sul tavolo del governo e dell’Istituto Superiore di Sanità, un gruppo di economisti e scienziati dei dati, tra cui Carlo Alberto Carnevale Maffè della Bocconi ed Alfonso Fuggetta del Politecnico di Milano, ha proposto di replicare il modello Corea. Il team di specialisti di SoftMining, una spin-off dell’Università di Salerno, ha sviluppato un’app denominata «SM_Covid19» in grado di valutare il rischio di trasmissione del virus attraverso il monitoraggio di chiunque sia positivo. Gli ospedali potrebbero così leggere i dati di rischio e aggiornare lo stato di una persona (negativo o positivo al test). Se risulta positiva al test, il rischio di ogni altra persona con la quale questa sia venuta in contatto viene aggiornato automaticamente.

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