Il buco, film di fantascienza spagnolo presentato il concorso al Torino Film Festival dello scorso anno, è ora disponibile su Netflix. Primo lungometraggio del regista Galder Gaztelu-Urrutia, il film ha ottenuto il prestigioso premio Goya (gli oscar del cinema spagnolo) come migliore opera prima.
Il thriller distopico firmato da Galder Gaztelu-Urrutia è ambientato in un carcere strutturato in verticale. Attraverso un buco presente in ogni cella, una piattaforma scende tra i vari piani, portando il cibo consumato dai prigionieri che si trovano ai livelli superiori. Il Buco è ora disponibile su Netflix.
Il film si svolge in una particolare prigione in cui le celle sono disposte verticalmente. I prigionieri hanno il diritto di chiedere una cosa sola da tenere con sé (il protagonista del film, ad esempio, sceglie una copia del Don Chisciotte). Alla fine di ogni mese i detenuti vengono trasferiti in una cella nuova, su un piano diverso rispetto a quello su cui si trovavano precedentemente. In mezzo ad ogni cella c’è un buco, attraverso il quale scende, di piano in piano, una piattaforma piena zeppa di cibo, da consumare entro due minuti, prima che questa scenda al piano di sotto. Si tratta quindi di una soluzione che mette a repentaglio la vita di chi sta ai piani inferiori, a cui arrivano solo le briciole. Il contesto è molto simile a quello del treno di Snowpiercer, in cui i passeggeri degli ultimi vagoni erano costretti alla fame per garantire il benessere di quelli che abitavano nei vagoni alla testa del convoglio. Ma più che al film di Bong Joon-ho, Il Buco sembra prendere molto dal The Cube del 1999, film a cui questo deve moltissimo in termini di concezione, scenografia e impianto metaforico.
Galder Gaztelu-Urrutia trasforma l’orizzontalità dei vagoni di Snowpiercer nella verticalità dei piani della sua prigione, eppure il suo film è molto più didascalico di quanto non lo fosse quello di Bong Joon-ho. Il suo significato allegorico (facilmente comprensibile da qualsiasi spettatore minimamente attento) viene spiegato e ribadito con una insistenza quasi fastidiosa. Per questo motivo, il tentativo di astrarre la narrazione man mano che ci si avvicina al finale, appare assolutamente inadeguato per via di una scrittura così insicura da dover urlare ogni cosa. Solo undici anni fa Neil Blomkamp debuttava con il capolavoro District 9, che si basava si di una allegoria ugualmente esplicita e dichiarata, ma non costringeva anche i suoi personaggi a comportarsi in maniera puramente simbolica, rischiando un effetto ridondante che è la vero debolezza de Il Buco.
Il Buco invece fa di ogni azione dei personaggi un paradigma e di ogni personaggio che la compie una metafora o un simbolo, negando la possibilità di approfondimento o di qualsivoglia ambiguità e complessità. Galder Gaztelu-Urrutia è bravissimo nell’utilizzare una messa in scena minimale, aderendo in ogni momento all’asciuttezza che il cinema di genere impone, ma il suo film sembra essere sempre l’infinta eco di se stesso. Puntando quindi ad una profondità difficile da raggiungere con una scrittura così superficiale, Il Buco riesce ad intrattenere solo a tratti, quando le sue velleità artistiche vengono tenute a freno da una regia consapevole della materia su cui opera.
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