Una semplice influenza stagionale, contratta in un clima come questo, può mandare in paranoia tutto coloro che la contraggono: tuttavia, è bene sottolineare che non va comunque e in alcun modo trascurata, perché molti sintonomi sono in comune con l’infenzione da coronavirus.
Di coronavirus si muore, purtroppo, ma si guarisce anche. Il decorso dell’infezione varia a seconda del fisico e dello stato di salute del contagiato – e quindi contano, allora, età geriatrica e patologie pregresse – tanto che può risultare anche semplicemente come una brutta influenza.
Altre persone, invece, risultano essere persino asintomatiche. Per far luce e chiarezza su quelli che sono sintomi e decorso del Covid-19, però, il Corriere della Sera ha intervistato Sergio Harari, primario di pneumologia e medicina all’ospedale San Giuseppe Multimedica di Milano e professore di Clinica Medica all’università di Milano.
Premettendo che non tutti coloro che vengono contagiati dal virus mostrano sintomi plateali, in genere la sintomatologia del Covid-19 è relativamente simile a quella di una semplice influenza.
Come spiega Sergio Harari, infatti, in genere gli affetti da coronavirus sviluppano una febbre alta o molto alta, con brividi, possibile mal di gola, tracheite, dolori diffusi, mal di testa, forte senso di stanchezza, congestione nasale e anche congiuntivite. In alcuni pazienti, tuttavia, è capitato che gli unici sintomi riscontrati fossero la perdita del gusto e quella dell’olfatto. In alcuni pazienti sono stati poi riscontrati anche dei disturbi gastrointestinali, dato che il virus potrebbe non fermarsi nell’apparato respiratorio.
In generale, comunque, se la situazione non degenera la febbre passa da sola nell’arco di 5-7 giorni, mentre il senso di spossatezza e debolezza può perdurare più a lungo. Il trattamento “casalingo”, allora, prevede di solito gli stessi medicinali usati per l’influenza classica, che tengono quindi a bada i sintomi più fastidiosi. Antipiretici, tra cui l’immancabile paracetamolo, e antidolorifici per lo più. Nel caso di diarrea, si possono ovviamente usare rimedi specifici anche per questo disturbo. Inoltre, è molto importante non dimenticarsi di bere: una buona idratazione dell’organismo aiuta il processo di guarigione.
Una descrizione del genere, in effetti, non farebbe pensare a un’infezione pericolosa o anomala. Eppure, di coronavirus si può morire, se questo compromette seriamente l’apparato respiratorio del paziente che ne è infetto. E allora, l’allarme deve scattare quando comincia a mancare il fiato, che come spiega il professore “può diventare corto e/o frequente”.
Se si avvertono questi sintomi, è bene in questo caso chiamare il numero apposito, cosicché il personale specializzato e autorizzato possa venire a casa a controllarci di persona. In questi casi, se la situazione è seria, si finisce per andare all’ospedale, dove viene fatta una lastra al torace per verificare se c’è interessamento polmonare. In caso di responso positivo, avviene allora il ricovero.
Questo perché, purtroppo, “ci può essere un peggioramento drammatico e rapido, talvolta anche nel giro di poche ore, che rende necessaria l’assistenza respiratoria, con strumenti come il cPap (lo stesso usato da chi soffre di apnee notturne), gli ormai famosi caschi oppure, quando non c’è altra scelta, con l’intubazione”.
Una volta che il paziente finisce ricoverato in ospedale, sicuramente non è affatto un buon segno. Tuttavia, nelle ultime settimane è stato dimostrato come alcuni tipi di farmaci, in determinate situazioni, sono riusciti a coadiuvare il processo di guarigione del contagiato.
Come riporta il professore Harari, dunque, “quanto attiene alle terapie farmacologiche gli antivirali attualmente usati sono il Remdesivir, di cui è appena iniziata una sperimentazione e la combinazione Lopinavir/Topinavir. […] Vengono poi adoperati farmaci antimalarici o antireumatici, come l’ormai famoso Tocilizumab“.
Se il decorso procede in maniera positiva, e il paziente reagisce positivamente ai trattamenti ospedalieri, si può dunque parlare di guarigione. Però, è bene tenere a mente che la dimissione non significa assoluta libertà – almeno non subito. Dopo che un paziente è stato rimandato a casa, infatti, dovrà essere comunque ricontrollato dopo 14 giorni con due tamponi “ravvicinati in successione”.
Se entrambi danno responso negativo, il paziente è ufficialmente guarito. Però, nel frattempo, dovrà comunque “seguire le regole di separazione o almeno di protezione con i familiari”.
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