Coronavirus: in questo clima di panico collettivo, quali sono gli effetti della paura e dello stress che il Coronavirus sta causando? Le parole degli specialisti.
Dall’accumulo di scorte nei supermercati, alla caccia all’oro dell’amuchina, fino alle rivolte nei carceri e ad un senso di ansia o perfino disperazione diffuse. Medici e psicologi hanno definito questi effetti collaterali come “psicosi collettiva”. Di cosa si tratta?
La psicosi collettiva è un fenomeno di paura collettiva, che si manifesta con reazioni esasperate o incontrollate di panico, diffuso a macchia d’olio in seguito ad un evento particolare.
I casi di decessi ed i contagi da coronavirus stanno aumentando e persone sono chiuse in casa, rifugiate al riparo di questo nemico invisibile, mentre aleggia in crescendo un timore sottile.
Per qualcuno la convivenza forzata può essere un modo di ritrovare i propri cari, per altri di sperimentare una eccessiva solitudine. Per altri ancora, una fonte di tensione e stress.
Lo stress del “restare a casa”
“L’impatto più grosso è che ci viene chiesto un radicale cambiamento dello stile di vita quotidiano, dove paradossalmente non possiamo più fare cose, come invece la società moderna ci ha abituati a fare. Generando il cosiddetto “stress per le tante cose da fare”, ma per le cose da non fare”.
Si tratta cioè dello stress di “restare a casa”, ha riportato così Agi di quanto detto a Pagella Politica da Gianluca Castelnuovo, professore ordinario di Psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano.
Tutto questo ha il suo impatto, come accade per qualsiasi cambiamento, e a maggior ragione in un contesto di paura.
“In questo contesto di incertezza e di preoccupazione, la paura può essere funzionale, perché si può trasformare in attivazione e maggiore attenzione, per esempio per rispettare i protocolli di igiene, come lavarsi le mani e indossare i dispositivi di protezione individuale”, ha chiarito Castelnuovo.
“I problemi possono però verificarsi in quelle persone che hanno maggiori difficoltà a gestire l’ansia, in cui questo stato può diventare disfunzionale”.
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Lo stress di medici e professionisti
Per non parlare dello stress che tutte le persone sul campo tra cui medici, infermieri, professionisti, forze dell’ordine stanno vivendo in questo momento, per tamponare il più possibile l’emergenza coronavirus e tutelare la salute e la vita delle persone. Molti dei quali, vengono assistiti da psicologi.
“Il vissuto più comune dei medici e degli infermieri impegnati in questo momento nell’emergenza è quello di essere in un tunnel, dai contorni indefiniti, senza punti di riferimento ma, soprattutto, senza una via d’uscita visibile”, spiega a Il secolo XIX Gabriella Biffa, direttrice dell’Unità operativa di psicologia clinica e psicoterapia dell’ospedale San Martino di Genova.
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La paura della morte a livello psicologico
Il fenomeno coronavirus insomma, ha messo molti, quasi tutti indirettamente, davanti ad un mistero: quello della morte.
“Il tema della paura è da sempre presente nella mente di tutte le persone”, afferma in un’intervista a Radio Popolare lo psicologo Alessandro Bartoletti.
“La paura della morte è una di quelle paure primarie di cui non possiamo sottovalutare il valore evoluzionistico ed è quello che ci permette di sopravvivere.
Quando la paura della morte per una qualche forma di malattia diventa un fenomeno di interesse clinico, allora entriamo nel campo della psicologia e della psicoterapia”, continua Bartoletti.
È uno di quei disturbi che affligge moltissime persone. Quello a cui stiamo assistendo in questo momento, perciò, può essere definito in un altro modo: un fenomeno di paura di massa. “Tutta l’attenzione viene focalizzata su un unico fattore potenzialmente nocivo per la salute come può essere l’infettarsi con un virus”, conclude.
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Evitare che il corpo tracolli insieme alla mente: gestire la paura
Quindi, si può affermare che ciò con cui stiamo combattendo è la necessità di gestire “la paura atavica della morte che ci portiamo dietro”. Lo ha spiegato in un’intervista a Radio Gamma 5 il Dott. Francesco Oliviero, medico specializzato in pneumologia e psichiatria.
“Quando si riceve una diagnosi di Covid 19 oggi si instaurano tutta una serie di meccanismi legati a conflitti biologici personali” Il medico ha descritto in pratica come lo stress emotivo, causato dal panico di aver contratto il Coronavirus, sia un catalizzatore in grado di dare il colpo di grazia al quadro clinico già compromesso.
Inoltre descrive come queste considerazioni siano state fatte anche in base a reperimento di alcune “informazioni da Reparti di Bergamo, Brescia con persone che arrivano in ospedale con sintomatologia di influenza. Subito dopo accertato il tampone Covid-19 positivo, il caso clinico si aggrava in pochissimo tempo e diventa polmonite interstiziale nell’arco delle 12-24 ore“.
Non si parla ovviamente di un’autosuggestione né alcuno vuole far intendere tale cosa, ma si tratterebbe di un pesante tracollo psicologico a cui anche il piano fisico in qualche risponde dopo la notizia di aver contratto il virus. Una teoria opinabile, ma fino ad un certo punto.
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Mente e corpo collegati: come?
Il fatto che il nostro cervello è collegato sia con il sistema endocrino (ormonale) che con il sistema immunitario e le loro relazioni, sono dinamiche specificate da alcune recenti discipline come la neuropsicoendocrinologia e la neuropsicoimmunologia, che hanno contribuito a migliorare la comprensione dei delicati processi che contribuiscono a produrre uno stato di salute o di malattia.
Il nostro cervello sarebbe in grado di comunicare con le cellule del sistema immunitario. Come? Un sistema immunitario attivato produce sostanze chimiche che il sistema nervoso è in grado di “percepire”. Dunque tramite le modalità di interazione di questi canali di comunicazione si può indebolire la resistenza del nostro organismo agli agenti patogeni (che producono malattia) o, viceversa, si trasmettono dei segnali di positivi di rinforzo. Così riportava Il Fatto Quotidiano, citando in testo “Psicologia della salute” (Raffello Cortina Editore, 2012) del Prof. Mario Bertini.
Lasciamo sempre aperta la porta della speranza
Importante è quindi saper gestire gli stati d’ansia come ad esempio descritto in alcuni consigli nel precedente articolo, non lasciarsi sopraffare da paure irrazionali e affrontare ciò che la realtà propone, senza fasciarsi la testa o disperarsi, lasciandosi un angolino dentro di sé con su scritto quel famoso “Andrà tutto bene”.