La procura di Roma impugna la sentenza con la quale la corte d’assise ha condannato i due miliari dell’Arma a seguito del caso di Stefano Cucchi, contestando ai due condannati le attenuanti.
La Procura di Roma ha impugnato oggi la sentenza dello scorso novembre 2019,
con la quale la Corte d’Assise condannò Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo a 12 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. I due carabinieri, infatti, la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 pestarono a sangue Stefano Cucchi, arrestato per per detenzione di stupefacenti e portato in caserma, fino a condurlo a una miserabile morte.
Contestate, allora, tutte le attenuanti generiche ai due militari dell’Arma. Secondo la Procura, infatti, quella del pestaggio “fu una reazione gratuita, un pretesto” senza motivazione alcuna, del quale uno di loro si era persino “vantato“. Secondo quanto poi dichiarato da alcuni testimoni, in effetti, D’Alessandro “aveva raccontato il pestaggio con spavalderia, ridendo della fine che aveva fatto Cucchi e che lo definiva drogato di m…”. Secondo la Procura, i due carabinieri si sarebbero “divertiti” ad uccidere, a forza di botte, Stefano Cucchi.
La procura di Roma ricorre in Cassazione contestando la concessione delle attenuanti generiche per i due imputati che, con la sentenza dello scorso novembre 2019, hanno subito condanne più basse. Ad impugnare la sentenza è anche il pm Giovanni Musarò, che nella sua requisitoria al processo aveva chiesto, tra l’altro, 18 anni per le violenze che i due militari avevano riversato sul detenuto.
La sorella si Stefano Cucchi, Ilaria, si è espressa a favore di questa decisione attraverso un post su Facebook: “Non vanno riconosciute attenuanti a Raffaele D’Alessandro, Alessio Di Bennardo e, soprattutto, a Roberto Mandolini. Non posso non essere d’accordo“, scrive la donna.
Per la Procura, inoltre, è da considerare anche la condanna per la commissione del pestaggio per futili motivi. Un provvedimento, questo, che era stato escluso nella sentenza con la motivazione della resistenza di Cucchi al fotosegnalamento – fatta di “condotta oltraggiosa” e di insulti. Tuttavia, la Procura ritiene che quella notte avvenne “uno scambio reciproco di insulti”, e in ogni caso l’aggressione a Stefano da parte dei due carabinieri “fu una reazione gratuita”, “un pretesto”.
Il pm e la Procura di Roma contestano anche le attenuanti attribuite al maresciallo Mandolini, lo stesso che produsse il falso verbale di arresto di Stefano Cucchi, e definito quindi come “il primo atto di un gravissimo depistaggio”.
La Corte d’Assise aveva concesso al maresciallo le attenuanti a 3 anni e otto mesi per falso, e per aver contribuito a manomettere e nascondere le relazioni e l’accaduto. Eppure, Mandolini “ha inquinato le prove per dieci anni“, spiega il pm.
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