Lo studente egiziano residente a Bologna è recluso in un braccio di massima sicurezza della Tora al Cairo, incertezza sulle sue condizioni di salute.
L’emergenza coronavirus ha messo in secondo piano molte notizie importanti che nelle ultime settimane avevano tenuto banco. Ma non tutto si può dimenticare o accantonare, come il caso di Patrick George Zaky, lo studente dell’Università di Bologna arrestato in Egitto ormai più di un mese fa.
Della sua situazione si era occupata anche la Farnesina: lo studente, da tempo residente in Italia per motivi di studio, oggi ricercatore, molto attivo nell’ambito dei diritti sociali e umanitarie delle comunità gay, era stato fermato mentre stava rientrando dalla sua famiglia a Mansoura. Doveva andare in vacanza e invece è finito in cella sulla base di un vecchio provvedimento legato a una manifestazione per la quale era stato segnalato alle autorità giudiziarie del Cairo.
Patrick è sempre recluso nel maxicarcere della Tora, alla periferia del Cairo, nella sezione scorpione, una delle più dure. La sua detenzione viene rinnovata di quindici giorni in quindici giorni e le informazioni sono pochissime. A tutto questo si aggiunge anche la drammatica emergenza sanitaria del coronavirus che ormai riguarda anche l’Egitto. Ieri era in programma una nuova udienza che avrebbe dovuto decidere sul destino dello studente egiziano residente a Bologna: inizialmente fissata per il 21 marzo, e poi anticipata, l’udienza non si è tenuta. Nessuno può uscire dalla struttura non solo per le condizioni di massima sicurezza ma anche per i provvedimenti restrittivi adottati dal Cairo per fronteggiare l’epidemia Covid-19.
Zaky non è mai comparso davanti alla procura che doveva decidere se rinnovare la sua detenzione preventiva. Rischia fino a 25 anni di carcere: è accusato di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”. Ora la preoccupazione riguarda non solo un iter processuale sproporzionato e incerto ma anche le sue condizioni di salute. Gli amici di Patrick riferiscono che al giovane è stata negata la consegna di prodotti per l’igiene personale e di cibo da parte della famiglia, prodotti che sono stati requisiti.
L’unico messaggio che è arrivato ai familiari è una richiesta di aiuto anche perché l’udienza rinviata non si sa quando potrà avere luogo. Una nuova richiesta di intervento in questo senso è stata presentata al ministero degli esteri che si era già interessato del suo caso immediatamente dopo il suo fermo.
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