Per la prima volta nella storia la città delle luci si spegne per fronteggiare il coronavirus. Casinò e teatri chiusi, alberghi deserti, prenotazioni voli annullati.
Il sindaco della città simbolo del divertimento e del gioco d’azzardo è una elegante e dinamica signora di 80 anni, Caroline Goldmark Goodman. È sindaco di Las Vegas dal 2011 ed è al suo secondo mandato. Alle ultime elezioni aveva ottenuto quasi un plebiscito. Corre come indipendente (“a Las Vegas conta solo il partito dei soldi” dice) ma è democratica. Fa politica da anni: qualcuno ritiene che in realtà di mandati ne abbia avuti ben cinque perché prima di lei il sindaco era suo marito Oscar Goodman, sindaco per dodici anni e due rinnovi dopo la prima nomina. Quasi certamente la signora Las Vegas lascerà alla fine del suo mandato e a prendere il suo posto potrebbe essere il figlio Ross, avvocato.
Il sindaco annuncia in conferenza stampa i provvedimenti che a causa del coronavirus spegneranno Las Vegas. Chiusi gli alberghi e i teatri, chiuse tutte le case da gioco, chiusi i bar della zona dello strip. Traffico azzerato all’aeroporto che ogni anno muove quasi 50 milioni di voli in arrivo e in partenza. Las Vegas non è solo la capitale del gioco ma anche quella del divertimento tra viaggi di nozze, addii al celibato (mai visto “Una notte da leoni”?) ed eccessi di ogni tipo. Al momento di chiudere la conferenza stampa la signora Goodman si lascia scappare un singhiozzo e dice ad alta voce “Viva Las Vegas”, citando la canzone dei ZZ Top che celebra strip bar, sbronze e tavoli verdi.
Non era un momento facile per la capitale del gioco alle prese con un rinnovamento pesante: molti alberghi di seconda generazione sono stati fatti saltare e ricostruiti e numerosi investimenti devono ancora rientrare. Questa botta non ci voleva: chiudono il Palm, il Mirage, il Bellagio, il Dunes, tutti i locali storici resi famosi anche dalla cinematografia mondiale.
Solo la settimana scorsa a Las Vegas erano in cartellone 200 spettacoli di grande livello: day Boyz2Men a Il Volo, Dionne Warwick (che canta due volte a sera al Caesars’ Palace a 250mila dollari a sera). Allo Zappos era attesa Shania Twain, al teatro principale del Caesars’ Rod Stewart che fissa almeno una cinquantina di date all’anno a Las Vegas. Erano attesi Bob Dylan, Rolling Stones, Lady Gaga… sarà un bagno di sangue: un danno incalcolabile.
“È un passo grave che dobbiamo affrontare tutti insieme, facendoci coraggio e guardando verso la fine di questo brutto viaggio – dice il sindaco Goodman – questa città nata nel deserto è diventata un simbolo per il mondo, dà lavoro a milioni di persone e di famiglie ed è un sogno per molti. Oggi chiudiamo, ma da domani cominceremo a lavorare per riaprire con ancora più luci, più sfarzo, più glamour e più divertimento per tutti. Oggi solo silenzio e rispetto per chi sta lavorando perla salute delle nostre famiglie”.
La decisione di chiudere non riguarda solo Las Vegas ma anche la sua piccola imitazione, Reno – poco distante – e Atlantic City, sulla sponda est, capitale del gioco del New Jersey cantata da Bruce Springsteen. Da oggi gli Stati Uniti brillano un po’ meno e la luce di Las Vegas, che si poteva ammirare nitidamente anche dallo spazio, si spegne.
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