L’Organizzazione Mondiale della Sanità prende tempo prima di giudicare i provvedimenti dei decreti imposti dal governo per la prevenzione dal contagio di coronavirus.
Due settimane
Ci vorranno non meno di due settimane, e dunque dovremo arrivare alla scadenza dell’ultimo decreto firmato da Giuseppe Conte, che scade il 3 aprile, per capire se i provvedimenti restrittivi sono davvero serviti. Purtroppo, ora è presto e fare previsioni è impossibile come sottolinea Cristiana Salvi, responsabile delle relazioni esterne alle Emergenze Sanitarie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Europa: “Fra due settimane dovremmo cominciare a vedere qualche risultato. L’azione dell’Italia è stata molto energica ma gli italiani devono aspettare per vederne l’efficacia. Non devono mollare, devono avere pazienza”.
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L’atteggiamento degli italiani
Proprio quello che agli italiani sembra mancare: le migliaia di denunce nei confronti di chi non ha rispettato il decreto, quasi sempre per motivi davvero futili, non sono un buon segnale così come un altro esodo che, in corrispondenza di un nuovo fine settimana, si sta verificando verso le aree meridionali. Tuttavia se l’esempio della Cina è stato seguito correttamente la situazione migliorerà: “In Cina – spiega la dottoressa Salvi – sono state prese fortissime misure di contenimento all’epicentro dell’epidemia. Adesso i contagi stanno scendendo in maniera incredibile, proprio a seguito di quelle misure. Non sappiamo ancora quando avremo il picco, in tutta Europa c’è ovunque un andamento a salire, oggi abbiamo oltre 30.000 casi, metà dei quali in Italia. Ma in Spagna, Francia e Germania la situazione stanno facendosi sempre più grave. Ce lo aspettavamo, tutta la popolazione è esposta perché è virus nuovo. Nell’influenza stagionale, alla fine circolano gli stessi virus che di anno in anno mutano ma nella popolazione si forma una certa immunità. Che per questo virus, purtroppo, non c’è”.
Senso di responsabilità
Non sono più frasi fatte e meme da mettere in rete. Ma è una realtà e chi la sottovaluta lo in modo irresponsabile se non criminale: “Quando il virus attacca a livello comunitario, come questo, si rende necessario intervenire anche con azione di mitigazione, una misura che ha efficacia ma che ha costi socio-economici alti. In Italia, purtroppo la finestra di opportunità per agire immediatamente è stata strettissima. Dopo il 21 febbraio si è passati da decine a centinaia di contagiati, un incremento repentino inaspettato, la finestra era diventata troppo stretta per poter solo contenere e si è passati ad adottare misure molto stringenti, inizialmente per il nord Italia e poi per il resto, per prevenire l’ulteriore diffusione del virus”.
Troppi spostamenti nelle città e fuori
Proprio mentre il virus attaccava la gente non capiva, si assembrava si spostava in massa: “È stato complicato tracciare i pazienti-contatto, molti non avevano legami epidemiologici, il paziente zero non è stato mai individuato, il paziente 1 ha avuto subito molti contatti che non è stato possibile rintracciare. E poi, ricordiamo che un terzo della popolazione ha un’età avanzata e questo ha influito non solo sul contagio ma anche sulle conseguenze della malattia”.
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Quindici giorni di angoscia
Dunque, due settimane di lotta porta a porta, quartiere per quartiere: “Noi – conclude la dottoressa Salvi non abbiamo mai consigliato restrizioni alle frontiere, su questo c’è anche un discorso di conseguenze economico-sociali che diventano più pesanti rispetto all’efficacia del provvedimento sulla salute. Ma tutti i paesi che hanno adottato misure più forti alle frontiere, hanno fatto le loro valutazioni. Noi auspichiamo che queste misure siano di durata più breve possibile per avere un impatto meno grave. Quello che abbiamo raccomandato a tutti è: fino a quando è possibile fare contenimento, il che significa uscire di casa il meno possibile e non sottovalutare nessun contatto esterno. Con cose o persone. Perché è l’unico modo per controllare la trasmissione prima che si diffonda”.