Nuovi sviluppi arrivano nella giornata di oggi in merito al caso del serial killer delle prostitute: Maurizio Minghella, già all’ergastolo per aver commesso 7 delitti, è stato condannato a 30 anni di reclusione per l’uccisione di Floreta Islami.
In data odierna la Cassazione ha confermato la condanna a Maurizio Minghella (62 anni), il serial killer delle prostitute che già sta scontando l’ergastolo per altri 7 omicidi. Minghella è stato dunque condannato a 30 anni di carcere a seguito dell’omicidio della giovane prostituta albanese Floreta Islami.
La ragazza era stata brutalmente uccisa dal killer il 14 febbraio del 1998, giorno in cui Minghella l’ha strangolata in un campo vicino a Rivoli, in provincia di Torino. L’accaduto era rimasto un cold case per diversi anni, fino a quando il fascicolo non era stato riaperto nel 2014 grazie ai “progressi delle genetica forense”.
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La svolta nelle indagini: il dna di Maurizio Minghella
La Suprema Corte ha quindi confermato la reclusione per 30 anni dopo aver analizzato nuove prove che hanno infine incastrato Minghella. Tali prove, ottenute grazie alle nuove metodologie offerte dalla disciplina della genetica forense, si sono avvalse del dna dello stesso assassino. Infatti, prova schiacciante e decisiva alla condanna sono state le tracce genetiche ritrovate sulla sciarpa usata per strangolare la donna. Le analisi erano state fatte dopo la riapertura delle indagini condotte dal pm Roberto Sparagna, già impegnato a risolvere altri 5 omicidi.
Inoltre, importante è stata anche la testimonianza di Alketa Demiraj, una delle vittime prese di mira da Minghella e la prima ad offrire rilevanti informazioni alle autorità in merito al caso di Floreta. Alketa, del resto, era finita anche lei sotto la stretta morsa del serial killer, essendo stata da lui violentata, rapinata e picchiata. L’uomo, inoltre, per spaventarla e tenerla sotto il suo giogo brutale, le aveva confessato di aver ucciso altre due prostitute, una in zona Calasette mentre l’altra proprio a Rivoli.
La prima serie di indagini era riuscita però ad inchiodare Minghelli come omicida soltanto di Fatima H’Didou; all’appello mancavano ancora dei riscontri che potessero permettere di confermare la colpevolezza dell’uomo anche nel caso della morte di Floreta.
Sono però infine arrivate, dopo la riapertura del fascicolo, le analisi del dna: sulla sciarpa – strumento usato come modus operandi, come firma da parte dell’uomo, per uccidere le prostitute – allora, sono state ritrovate tracce di materiale genetico appartenente a Minghella.
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Nessuno sconto di pena: “trattamento sanzionatorio di massimo rigore”
I legali dell’omicida già avevano mosso alla Cassazione una richiesta per le attenuanti, così da poter far ottenere al loro assistito uno sconto di pena. Tuttavia, i supremi giudici hanno confermato la condanna a 30 anni di reclusione, data “la straordinaria gravità” di quello che ha fatto Minghella, e che richiede quindi il “trattamento sanzionatorio di massimo rigore”. Condanna già emessa dalla Corte di Assise di Appello di Torino il 23 gennaio 2019.