Il nuovo “Fondo di investimenti Ue per il Coronavirus” da 7,5 miliardi di euro declamato ieri da Ursula von der Leyen in realtà non è un Fondo di investimenti Ue. A smentire l’annuncio il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer.
Ieri l’Italia dei non politici, dei comuni cittadini, aveva appreso con soddisfazione la notizia che l’Unione Europea era intenzionata ad aiutare il Paese nell’emergenza coronavirus. Con tanto di proclami della presidente della commissione Ursula von der Leyen. “Italia vi siamo vicini e aiuteremo imprese e settore sanitario”. A smentire l’annuncio fatto è il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer, che oggi ha precisato: “Non si tratta di un Fondo, ma di una iniziativa per utilizzare fondi già esistenti”. Forse solo i politici e gli analisti, con Conte in primis, avevano capito che si trattava non certo di una bufala ma di un ‘favore’ sui debiti pregressi che l’Italia ha con l’Europa e di soldi già nelle casse dello Stato. Il nuovo strumento della commissione appare molto diverso da come era stato annunciato. La realtà è che non ci saranno nuovi soldi, né trasferimenti di risorse da un Paese all’altro in base alle esigenze legate all’epidemia. Non è una misura di solidarietà all’interno del bilancio Ue. Ma uno strumento che consentirà agli Stati di utilizzare per fini diversi i fondi strutturali che non saranno o non sono stati in grado di spendere. Sempre e solo nel limite della quota già assegnata.
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Nessun Paese avrà un euro in più o un euro in meno del previsto. E non è ancora chiaro se quei fondi assegnati su base regionale, potranno essere trasferiti ad altre regioni dello stesso Paese. A oggi sono le regioni del Sud Italia che hanno maggiori difficoltà a spendere i Fondi Ue, in particolar modo la Sicilia. Ma sono le regioni del Nord ad avere esigenza di ammortizzatori economici per le conseguenze del virus. Il nuovo strumento a cui sta lavorando la Commissione (“Sarà pronto entro la fine della settimana” ha annunciato l’esecutivo Ue) prevede che Bruxelles rinunci all’obbligo di chiedere la restituzione di quei fondi già assegnati e non spesi. I governi potranno dunque trattenerli e utilizzarli come cofinanziamento nazionale da combinare ad altri investimenti nell’ambito dei fondi strutturali.
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