La protesta nelle carceri italiane sta assumendo proporzioni incontrollabili: al centro delle rivolte le misure di emergenza Coronavirus che vietano ai detenuti le visite dei familiari e ai volontari di entrare in carcere. Anche Rebibbia e Regina Coeli sono in rivolta a Roma.
‘La protesta degli ultimi’ l’ha già definita qualcuno. In quasi tutta Italia ormai i detenuti sono in rivolta: dopo un lungo silenzio alzano la voce e difendono il loro diritto più sacrosanto, quello di potere avere i colloqui familiari ogni settimana, così come previsto dall’ordinamento penitenziario. Anche Roma ha iniziato la sua protesta, a Rebibbia e Regina Coeli: dalla mattinata del 10 marzo saranno sospesi ufficialmente i colloqui con le persone care.
Anche i volontari non possono più entrare nelle carceri. I volontari sono il tramite unico che hanno i detenuti per potere comunicare con l’esterno. Eppure, non a tutti negano l’ingresso. Gabriella Stramaccioni, Garante dei detenuti nel comune di Roma, è sempre entrata: “io veramente sto entrando tutti i giorni – dice. Sabato mattina ho fatto riunione con la direttrice, capo area educativa e medico con i detenuti del penale per spiegare le misure e gli accorgimenti da adottare. Venerdì ero al nuovo complesso ed oggi torno li. Ieri che era domenica- continua il Garante – sono stata al telefono con molti famigliari che mi hanno chiamato, ed ho preparato istanze per coloro che necessitano di cure. Io penso – conclude – che se ognuno facesse la propria parte sempre il mondo andrebbe meglio. Anche quando ci sono emergenze come queste”.
Anche i politici possono entrare in carcere, e le notizie che arrivano da Milano sono poco rassicuranti: “Sono a San Vittore anche qui da questa mattina alcuni detenuti, a cui non va data nessuna giustificazione, hanno distrutto gli ambulatori del secondo e del terzo raggio e sono sul tetto. Dentro questa emergenza drammatica in cui vive tutto il Paese, c’è una emergenza che va pure subito affrontata a tutela degli agenti, degli operatori e degli stessi detenuti. le parole del senatore, vice presidente dei senatori Pd. “Il decreto che di fronte alla sospensione dei colloqui – continua il politico – resa necessaria dal Coronavirus, impone di consentire le comunicazioni a distanza coi parenti non basta. Serve subito affrontare il problema del sovraffollamento. Si mettano ai domiciliari tutti coloro che hanno pochi mesi ancora da scontare per arrivare a fine pena (cosa che hanno fatto in Iran, ndr) Non si risolverebbe nulla se, come pensa qualcuno, si tornasse a chiudere le celle superando la vigilanza dinamica. Serve consentire ai direttori di poter lavorare ricostruendo un clima che il sovrappopolamento pregiudica”.
Sono complessivamente sei, secondo quanto si apprende da fonti dell’amministrazione penitenziaria, i detenuti morti nelle proteste: tre nello stesso penitenziario modenese ed altri tre dopo i trasferimenti in altre strutture carcerarie: a Parma, Alessandria e Verona. Ora anche Roma trema.
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