Il ritmo del contagio in Italia ha subito una brusca accelerata nel corso delle ultime quarantotto ore, i virologi si dividono ma tutti sono d’accordo su una cosa: non è ancora il picco.
È passata una settimana esatta da quando i virologi dicevano che si sarebbe entrati nella settimana decisiva: ma l’impressione è che il virus sia ancora in una fase di espansione molto aggressiva. L’ipotesi di poter fermare il contagio sulle posizioni iniziale, ovvero i dieci comuni della zona rossa iniziale, si sta rivelando assolutamente aleatoria.
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I virologi che hanno lavorato fin dall’inizio sul modello di espansione del COVID19 lo avevano previsto: “Ci sono volute più di sei settimane per in Cina per poter vedere un’inversione di tendenza – dice Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità – ci vuole altro tempo e non bisogna assolutamente rallentare sul fronte delle iniziative di controllo e del loro rigore. Controllare il virus è difficilissimo, possiamo solo fare dei tentativi per preservare il nostro sistema sanitario ed evitare che gli ospedali vadano al collasso”.
Il virus ieri ha superato quota quattromila contagi e poco prima della mezzanotte erano stati accertati 197 decessi. Numeri che riportano alla prima fase del contagio di Wuhan che numeri del genere li aveva presentati all’Organizzazione Mondiale della Sanità il 27 gennaio. Alessandro Vespignani, che insegna a Boston alla Northeastern University, sostiene che il virus sia solo nella sua fase di propagazione iniziale: “Il virus si allarga proprio come in Cina con una modalità estremamente rapida e aggressiva. Oggi ci sembra che l’Italia sia più colpita, ma è solo una questione di tempo. Presto vedremo curve dall’andamento simile anche in buona parte dell’Europa e negli Usa. Alla fine non credo ci saranno grandi disparità fra i vari paesi”.
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Fino a oggi il contagio non è stato controllato dalle contromisure assunte dal governo, ma anche il nostro sistema immunitario è indifeso: “In questo momento il nostro corpo non è in grado di affrontare il coronavirus con gli strumenti giusti perché non abbiamo alcuna difesa contro questa malattia – conclude Vespignani – dovremo subire e difenderci almeno per due, tre mesi. E quando penseremo di esserne usciti sbaglieremo… perché potremo dire di esserne fuori solo quando gran parte della popolazione risulterà immune. È quella che definiamo la cosiddetta immunità di gregge. Servono tempo, costanza e pazienza”.
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