The Grudge, ennesimo remake del film Ju-on del 2000, non ha ancora una data di uscita dopo il rinvio causato dall’emergenza Coronavirus. Nell’attesa di scoprire quando debutterà anche nelle sale cinematografiche italiane il film diretto da Nicolas Pesce, ecco alcuni horror asiatici che vale la pena recuperare.
The Grudge, ennesimo remake del film Ju-on del 2000, questa volta diretto da Nicolas Pesce, arriverà prossimamente nelle sale italiane dopo il rinvio causato dall’emergenza Coronavirus. Il remake è interpretato da Andrea Riseborough, Demián Bichir e John Cho. È il quarto film della serie The Grudge. Nell’attesa di vederlo al cinema, ecco alcuni horror asiatici che vale la pena recuperare.
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I Saw the Devil
I Saw the Devil è un horror feroce e immediato, tanto facile da apprezzare (per gli amanti del genere) tanto difficile da comprendere fino in fondo. Un tripudio di violenza che si trasforma in un gigantesco monumento all’iperrealismo, un film che trova nella crudeltà la sua unica chiave di lettura e cambia vorticosamente genere, passando con agilità dal poliziesco (in cui i ruoli di vittima e carnefice si ribaltano costantemente) all’horror puro. Il film di Kim Jee-Woon sembra colpire sempre fortissimo senza avere mai l’intenzione di uccidere: tutti i personaggi, fino alla fine, sono destinati ad una corsa infinita per la sopravvivenza.
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Cure
Cure, scritto e diretto nel 1997 da Kiyoshi Kurosawa, è uno dei film fondamentali del cinema giapponese degli anni ’90. Quello che, insieme a Ringu, ha contribuito a codificare un genere cinematografico come quello del J-Horror (il cinema horror giapponese). Kurosawa ha più volte ammesso l’influenza di film come Il silenzio degli innocenti e Seven nella realizzazione di Cure, ma il suo approccio al thriller è totalmente differente dai canoni imposti dal cinema americano e assolutamente innovativo. Il suo cinema è costantemente attraversato da un malessere tangibile che si trasmette allo spettatore attraverso una regia inquieta e morbosa.
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Three… Extremes
Three… Extremes è un film collettivo del 2004 presentato alla 61esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione “Mezzanotte” (quella che un tempo era dedicata ai film più estremi) Il lungometraggio, seguito spirituale di Three, mette insieme tre dei registi più innovativi del cinema orientale: Fruit Chan, Takashi Miike e Park Chan-wook, per una co-produzione tra Hong Kong, Giappone e Corea del Sud. Sarà difficile, dopo la visione del film, rimuovere alcune immagini scioccanti anche adesso, a distanza di 16 anni dall’uscita del film. Si tratta di uno degli esperimenti corali più riusciti e apprezzati, in grado di rappresentare in maniera efficace lo stato di una intera industria cinematografica.
Goksung
Goksung – La presenza del diavolo di Na Hong-jin è forse uno dei film più rappresentavi del cinema sudcoreano dell’ultimo decennio. Esplosa agli inizi del 2000 con una new wave di autori in grado di reinventare tutti i codici prestabiliti, quella sudcoreana è una cinematografia consacrata definitivamente a livello internazionale solo dopo il 2010. Quello di Na Hong-jin è un film tecnicamente incredibile, narrativamente rigoroso e allo stesso tempo molto attento ai gusti del pubblico, prendendo un genere tipico dell’horror occidentale (l’esorcismo) e riscrivendo da zero tutte le regole che fino a quel momento lo avevano definito