Con il passare del tempo si scopre che il virus non sarebbe arrivato grazie a uno, forse due malati asintomatici ma sarebbe in Italia da mesi.
Con una mentalità che ricorda un pochino la peste de “I Promessi Sposi” e la psicosi del dagli all’untore, ovvero la proverbiale persecuzione dei responsabili delle contagio, l’Italia per diverse settimane ha dato la caccia al cosiddetto paziente zero. Sarebbe stato lui, secondo i primi pareri, a scatenare il contagio da coronavirus in Italia, forse arrivando dalla Cina, forse trasferendo a pazienti sani, da malato asintomatico, la malattia. In realtà le cose non stanno esattamente così.
Certe consapevolezze sono già crollate la settimana scorsa, in particolare dopo l’intervento all’ONU di Bruce Aylward, il delegato dell’OMS che per primo è intervenuto in Cina per fronteggiare l’emergenza. Ma su questa lunghezza d’onda si stanno sintonizzando un po’ tutti i virologi a livello mondiale. Tra questi anche Francesca Russo, la dottoressa che guida la direzione prevenzione sicurezza alimentare del Veneto. La dottoressa Russo, nel corso di una lunga intervista rilasciata a Repubblica, ha detto che in realtà il COVID-19, sarebbe in Italia già da diverso tempo. Diversamente non si spiegherebbe il contagio di due anziani che vivevano nel centro storico di Vo’ Euganeo mai stati in Cina, mai in contatto con persone provenienti dalla Cina e che non avevano mai avevano frequentato luoghi a rischio perché di fatto vivevano esclusivamente in casa. I due anziani vivono molto ritirati anche a causa della loro età, 86 e 88 anni, da soli e in due zone diverse del paese. I loro parenti sono risultati tutti negativi al virus. Di conseguenza non ci si spiega come abbiamo fatto a contrarlo.
“Riteniamo che il virus circolasse sotto traccia da tempo, insieme con il normale virus influenzale – dice la dottoressa Russo – ma nei soggetti più deboli e con un quadro immunitario compromesso avrebbe provocato una polmonite. Il virus è arrivato in Europa in un momento imprecisato. Avrebbe dato luogo ai primi contagi in Germania, poi in Francia e poi abbiamo avuto i nostri. Può essere stato portato in Italia da chiunque”.
Non c’è dubbio che il virus abbia lasciato due tracce chiare ma distinte: “Da una parte abbiamo soggetti infetti che provengono dalla Cina oppure che si sono contagiati qui stando a contatto con loro. Ma dall’altra abbiamo casi che si sono manifestati perché il virus era già presente in Europa. Di fatto bloccare il virus era impossibile considerando i tanti pazienti positivi ma asintomatici in circolazione”.
Dello stesso avviso è anche Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano: “Tutto fa pensare a un’infezione presente da tempo, sicuramente da alcuni mesi. In quarantadue anni di professione non ho mai visto un’influenza capace di stravolgere in questa maniera l’attività dei reparti di malattie infettive. La situazione è francamente emergenziale dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria. È l’equivalente dello tsunami per numero di pazienti con patologie importanti ricoverati tutti insieme. Venerdì in Lombardia avevamo 85 i posti letto occupati da malati intubati con diagnosi di COVID-19, una percentuale davvero molto alta rispetto alla disponibilità di posti”.
Da quando il virus è presente in Europa? Difficile dirlo. Settimane, forse anche due mesi: “Purtroppo il virus è entrato in Italia prima che si cominciasse a ostruirgli la strada – conclude Galli – è molto probabile che dietro tutti i pazienti gravi ce ne siano altrettanti infetti ma meno gravi. Per usare un termine tipico dell’epidemiologia, questa è solo la punta dell’iceberg. Anche la migliore organizzazione sanitaria del mondo, e noi siamo tra queste, potrebbe non reggere un impatto del genere”.
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