Coronavirus e clima più caldo: quale sarà la relazione? Il caldo e la bella stagione aiuteranno a diminuire l’epidemia? Alle domande che in molti si fanno rispondono gli esperti, che ipotizzano una diminuzione dell’epidemia, ma senza poter fare previsioni certe.
L’ipotesi più probabile più plausibile attualmente è che il coronavirus resti in circolo per alcuni mesi. Su quale sarà l’evolversi dell’epidemia, a detta degli esperti, non si possono ancora fare previsioni, né definire quale sarà il peso delle misure socio-sanitarie sull’andamento del virus e le sue caratteristiche. Che ruolo potrebbe giocare l’arrivo della bella stagione e l’aumento delle temperature nel diffondersi dell’epidemia?
“Ad oggi non è ancora certo che il nuovo coronavirus sia un virus maggiormente legato al freddo e non si può affermare che con il caldo scomparirà”. Questo è quanto sostiene Giancarlo Icardi, professore di Igiene all’università di Genova, interpellato da alcuni metereologi di 3BMeteo.com insieme al professor Matteo Bassetti, direttore Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova, per capire le possibili relazioni tra la diffusione del Covid-19 e il clima.
Secondo il parere di professor Matteo Bassetti, “un coronavirus della stessa famiglia contagiò numerosi cammelli in Medio Oriente nel 2014, in condizioni climatiche dunque non necessariamente fredde. Per contro la Sars, della medesima famiglia e scoppiata alla fine del 2002, si estinse nel luglio del 2003“.
“In linea generale – osserva poi Icardi – non si può affermare che le zone tropicali possano essere esenti dalla diffusione del virus. Le temperature attorno ai 30°C limitano i Coronavirus, tuttavia gli elevati tassi di umidità tendono a ‘proteggere’ i virus“. Entrambi gli esperti, infine, sono concordi nell’affermare che il vento non è veicolo di trasmissione significativo del nuovo coronavirus.
Secondo Icardi, “considerato che i casi stanno aumentando ci possiamo aspettare che marzo e aprile saranno due mesi di sofferenza dal punto di vista sanitario, mentre è ancora presto per stabilire se ci sarà un effettivo calo dei contagi nella prossima estate“. Ad ogni modo, “l’aria aperta dovrebbe aiutare a limitare gli effetti del virus, se non altro perché si riducono le situazioni di stretto contatto collettivo in ambienti chiusi“, aggiunge il professor Matteo Bassetti.
Se da una parte è non si può prevedere il modo in cui le temperature agiranno sul virus, dall’altra ci potrebbero essere alcuni elementi per far supporre un a un indebolimento dell’epidemia, come del resto per altre condizioni stagionali.
Da quanto riportato dai Center for Disease Control and Prevention (Cdc) americani, invece, “altri virus, quali quelli del comune raffreddore e dell’influenza, si diffondono di più durante i mesi freddi“, e avvertono: “Questo non significa che sia impossibile ammalarsi con questi virus durante gli altri mesi. Al momento non si sa se la diffusione dell’infezione Covid-19 diminuirà con l’arrivo del caldo“.
“La bella stagione diminuisce le occasioni di contatto con le persone al chiuso, e alcuni precedenti, come quello della Sars, suggeriscono un andamento stagionale per questo tipo di virus“, aggiunge Massimo Galli, direttore del reparto di malattia infettive dell’Ospedale Sacco di Milano.
Ma non possiamo lo stesso in base a questo precedente, fare delle previsioni in merito al comportamento del virus e di ciò che ci aspetta: “Non possiamo dir nulla con certezza sull’andamento del virus, perché, sempre guardando al caso della Sars, siamo intervenuti con fattori di contenimento, sia nei Paesi dove ci sono stati i contagi che da dove tutto è partito, che hanno aiutato a limitarlo“, ha continuato Galli.
Il ruolo delle stagioni rimane quindi indefinito e non si può prevedere se l’azione maggiore la avranno le misure di contenimento o l’andamento naturale del virus sullo sviluppo dell’epidemia, ha spiegato l’esperto.
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“L’emergere di nuove pandemie influenzali può avvenire anche al di fuori di contesti stagionali. L’H1N1 del 2009, per esempio, da noi ha avuto una diffusione importante anticipata rispetto al solito, già intorno alla 45esima settimana. Anche il ruolo che clima e temperature possono avere sul sistema immunitario è da considerarsi a oggi alquanto marginale: i fattori che influiscono la possibilità di essere infettati dal virus e la tipologia di decorso sono principalmente altri”, ha concluso Galli.
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