Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, violazione della legge sulle armi, associazione finalizzata al traffico di droga ed esercizio del gioco d’azzardo.
Tutto è iniziato con una lettera scritta dal carcere dall’ergastolano Cristian Pepe, intercettata dalla Polizia, e da allora sono scattate le indagini che hanno portato oggi la Polizia ad eseguire un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 72 indagati. Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, violazione della legge sulle armi, associazione finalizzata al traffico di droga ed esercizio del gioco d’azzardo. Il lavoro della Squadra mobile di Lecce, coordinata dal Servizio Centrale Operativo, ha accertato l’indiscuusa egemonia su Lecce del clan Pepe capeggiata dal boss storico Cristian Pepe e dal fratello Antonio, conosciuto con il soprannome di ‘Totti’, ritenuto il reggente del gruppo criminale.
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Le indagini avrebbero confermato che il clan aveva il controllo esclusivo delle attività illecite della città di Lecce e in molti dei comuni vicini al capoluogo: si parte dai canali di approvvigionamento fino allo spaccio della droga, delle estorsioni al controllo del gioco d’azzardo. Durante gli accertamenti si è altresì verificato l’avvicinamento al clan dei diversi gruppi criminali operanti nelle zone di Squinzano, Galatone, Nardò, Surbo e nelle marine adriatiche. Sono anche emersi collegamenti tra il clan Pepe e i gruppi criminali del Brindisino. Per rafforzare il potere, i capi famiglia – emerge dagli atti – hanno associato nuovi affiliati: sono stati intercettati due riti di affiliazione ed è emerso che gli stessi conservano tuttora le storiche caratteristiche della Scu.
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Le indagini avrebbero provato l’interesse del clan nella gestione delle bische clandestine, acquisendo il 40% degli introiti, nonché il tentativo di Antonio Pepe di condizionare in suo favore, con vari stratagemmi, i risultati di giochi gestiti dal Monopolio di Stato. E si è fatta luce anche sull’attentato incendiario compiuto il 30 agosto 2017 ai danni dell’auto del comandante della stazione Carabinieri di Surbo.