Troppi errori e comportamenti irresponsabili, ma anche un egoismo di fondo che ha portato a un contagio troppo rapido e diffuso.
Di ritorno dal fronte cinese
Era attesa con grane impazienza la relazione del responsabile della missione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Cina, Bruce Aylward, che oggi doveva spiegare come la Cina ha fronteggiato il coronavirus. Quali sono le best practice imparate per evitare il contagio e quali invece i comportamenti assolutamente da non adottare. Bisogna dire purtroppo che se ci sono stati degli errori da evitare chi era contagiato, magari inconsapevolmente, li ha commessi quasi tutti. E ci sono da sottolineare, purtroppo anche molti comportamenti irresponsabili.
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“Non siamo pronti”
Che il mondo non fosse pronto per un’epidemia altamente infettiva come quella da coronavirus è evidente: “Scarse norme igieniche, una bassissima propensione all’igiene individuale di base anche per le norme più elementari come lavarsi le mani più volte al giorno e ogni volta che si torna da un luogo pubblico – dice ai delegati dell’ONU Bruce Aylward – ma anche scarsa reattività nell’affrontare la prima emergenza, focolai accesi in modo irresponsabile da spostamenti che dovevano essere evitati e una forma di egoismo che non porta mai a pensare a quelle che sono le conseguenze delle proprie azioni”. L’analisi di Bruce Aylward è molto oggettiva, quasi spietata.
Anche in Italia
Alcuni casi limite: il turista rinvenuto positivo ad Alassio, che pare sia partito da Codogno dopo l’inizio dell’emergenza. Una studentessa fermata a Catania e residente nel Lodigiano: era tornata a casa immediatamente prima che chiudesse la zona rossa ed è stata considerata un caso sospetto. Anche nel nostro paese non sono mancati i motivi di preoccupazione e di emergenza che potevano essere evitati con un po’ più di responsabilità o se non altro di buon senso.
Una dura lezione
Il dottor Bruce Aylward dice che questa emergenza ha insegnato molto: “Ci sono comportamenti reiterati in diversi paesi del mondo che affrontano la stessa emergenza che ci fanno capire come alcune cose non siano state affrontate nel modo dovuto proprio per mancanza di informazioni o anche di oggettività. Non siamo pronti per un’emergenza del genere. Anche se in Cina si è fatto tutto il possibile e se alla fine sono convinto che il bilancio sia di gran lunga migliore di quello che poteva essere oggi, possiamo solo imparare e crescere. Tutti insieme”.
Un farmaco che fa sperare
Intanto c’è qualche segnale di speranza intorno al remdesivir, un farmaco antivirale sperimentale della Gilead Sciences che avrebbe dato buoni risultati nel trattamento del coronavirus. Si tratta di un medicinale originariamente sviluppato per combattere il virus Ebola: attualmente è in fase di sperimentazione clinica su pazienti con coronavirus in Cina. I test dovrebbero essere completati entro al massimo un mese e mezzo. Solo dopo si saprà se si potrà utilizzare, magare in combinazione con altri antivirali. “Il remdesivir è l’unico farmaco che ci fa ben sperare – ha detto con una nota di speranza Aylward ai funzionari ONU – aspettiamo i resoconti di aprire per agire in modo più metodico”.