A distanza di quattro anni da Dark Knight, che metteva in scena gli eventi antecedenti alla strage di Aurora, in Colorado, in cui durante la proiezione di The Dark Knight – Il ritorno vennero uccise dodici persone, Tim Sutton torna a riflettere sulle tensioni che attraversano la società contemporanea con Funny Face.
Dopo la digressione di Donnybrook, in cui due uomini cercavano di ottenere la cifra necessaria a sostenere la famiglia partecipando ad una violenta competizione, Tim Sutton torna, con il nuovo Funny Face, presentato in anteprima mondiale alla Berlinale, ai temi che analizzò già con estrema lucidità nel 2016 attraverso il suo Dark Knight, che rifletteva sulla strage di Aurora in cui dodici persone vennero uccise dodici persone da James Holmes durante la proiezione del film The Dark Knight – Il ritorno.
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Una ragazza torna da sola a casa durante la notte, come quella che dava il nome al film di Ana Lily Amirpour. Zama è una giovane musulmana che mal sopporta le restrizioni imposte dai suoi zii che la ospitano in casa, disobbedendo regolarmente al loro coprifuoco e rimanendo fino a tarda notte in giro per discoteche. Sutton la segue con la macchina da presa in queste sue lunghe camminate, a volte dalle spalle, a volte attraverso carrelli laterali che ricordano quelli che accompagnavano le passeggiate di Eszter Balint in Stranger Than Paradise di Jim Jarmusch. Proprio durante questo suo vagabondaggio, la ragazza incrocia un giovane dall’animo inquieto che vuole ribellarsi alla gentrificazione imposta dall’alto, quella che lo sfratterà dalla sua casa e dal suo quartiere per costringerlo ad aderire ad un modello di sviluppo predatorio e violento.
La tensione che attraversa il personaggio di Saul è palpabile, non solo interiore ma fisica. L’inquietudine del personaggio è resa perfettamente dall’interpretazione “tarantolata” di Cosmo Jarvis, che in ogni momento sembra essere vittima di uno sconvolgimento molecolare che lo costringe a vibrare. Impossibilitato a stare fermo, Saul è sempre in moto insieme alla sua amica e amante Zama, seguendo traiettorie imperscrutabili che lo fanno avanzare e poi lo costringono sempre a tornare sui suoi passi. Quello che sarebbe un film piuttosto lineare, nelle mani di Sutton diviene un lungometraggio dai ritmi dilatati e dall’estrema stilizzazione, che proprio come Dark Knight potrebbe funzionare anche senza dialoghi. Infatti i due personaggi principali parlano pochissimo e sono mossi innanzitutto da emozioni e pulsioni istintive, che non hanno bisogno di spiegazioni, a differenza dei “ricchi” che vogliono cambiare la “forma della città”, che invece parlano tantissimo e spiegano i loro piani attraverso lunghi monologhi o estenuanti conversazioni.
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Come sempre Tim Sutton ferma quando serve la macchina da presa, si concede lunghe inquadrature fisse e riprende i propri personaggi all’interno di spazi vuoti che stanno per essere definitivamente riempiti, sottratti alla comunità che li abita e consegnati a persone che di quel “vuoto” non sanno che farsene, ma che intendono sempre come opportunità di riempimento e occupazione coatta e inderogabile. Pur non riuscendo sempre ad emanciparsi da una rappresentazione piuttosto banale e derivativa dell’avidità delle classi più agiate, Funny Face lavora sugli spazi e rende le persone che gli attraversano semplici eventi “molecolari” destinati a disintegrarsi (o ad essere disintegrati).
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