Ma c’è chi sostiene che sia un’operazione di facciata di Pechino per far capire che l’emergenza è ormai sotto il controllo delle autorità sanitarie.
La notizia è stata diffusa con ampia dovizia di particolari dalla Xinhua, la principale agenzia di stampa cinese e riporta la notizia, illustrata dal presidente Xi Jingping in persona che sei tra le più importanti provincie del paese hanno deciso di ridurre il livello di emergenza relativo al coronavirus.
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In Cina, come in molti altri paesi, le emergenze vengono coordinate a livello centrale, e dunque governativo ma sono poi amministrate su un piano locale dalle province. Parliamo di macro aree che hanno una propria organizzazione amministrativa e una certa autonomia. Sono pochi tuttavia gli argomenti in cui le province cinesi possono decidere in modo completamente autonomo: in fatto di ordine pubblico, conflitti e ovviamente sanità, decide Pechino.
Da poche ore le province di Gansu, Liaoning, Guizhou, Yunnan, Shanxi e Guangdong non sono più ad allerta 1. Gansu e Shanxi sono scese addirittura al livello minimo di emergenza, il tre: “Ma questo non significa che non proseguiremo la nostra azione di monitoraggio e di controllo – dice Xi Xhan, funzionario della salute pubblica di Gansu – perché anche a livello tre il dovere di tenere alta l’attenzione è massimo”.
Per dare un’idea dell’importanza dell’operazione basti pensare che la provincia di Guandong, a ridosso del Mar di Cina e di Canton, è una delle più grandi del paese con i suoi 150 milioni di abianti. O che quella di Shanxi è considerata strategica, perché è vicinissima a Pechino. O che nel loro complesso le sei provincie ospitano ben 300 milioni di persone. Siamo lontani da Wuhan e dal focolaio centrale del coronavirus ma su territori giganteschi che ospitano il 38% delle attività cinesi e che sono in costante movimento e interazione tra loro.
La decisione delle sei province segue di poche ore quello che era stato un invito del presidente della repubblica cinese Xi Jingping, ovvero di ritornare alla normalità. Xi Jingping lo aveva definito un “ritorno ordinato alle attività lavorative e produttive dopo la festività del Capodanno lunare”. Capodanno che di fatto non c’è stato… interruzione che si è prolungata soprattutto per l’emergenza sanitaria.
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Pechino vive con grande preoccupazione il fatto che il paese possa andare in stallo per l’emergenza coronavirus e che il colosso industriale possa addirittura incontrare una grave crisi. Di qui l’invito al ritorno alla normalità che da oggi 300 milioni di cinesi faranno proprio tornando alle attività di sempre come se in Cina non ci siano stati 80mila contagiati e 2500 morti. Un invito che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha considerato prematuro e non adeguato all’emergenza che ha investito tutto il pianeta.
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