Ci sono di mezzo tutti: Conte, Benetton, Autostrade, Atlantia, Alitalia. Un intreccio che potrebbe avere spinto il governo a revocare le concessioni.
Probabilmente c’è un intreccio complicato ancora misterioso dietro la fermezza con la quale il governo sta cercando di revocare le concessioni ad Autostrade per l’Italia. Potrebbe trattarsi di una lettera spedita da Atlantia all’esecutivo all’inizio di ottobre. Dopo averla letta il premier Giuseppe Conte è imbestialito e nel governo c’è chi non esita a usare una parola fino a quel momento solo sussurrata: ricatto. Atlantia comunica l’intenzione di sfilarsi dalla nuova operazione di presunto salvataggio dell’Alitalia perché sulle sue concessioni autostradali c’è sempre la minaccia della revoca per il crollo di Genova.
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Dunque finalmente cade il velo su quello che tutti sanno ma nessuno vuole ammettere: il salvataggio di Alitalia per il salvataggio delle concessioni. Pochi giorni prima l’amministratore delegato del gruppo e di Autostrade, Giovanni Castellucci, si è dimesso. «È stata una decisione mia. Non posso e non voglio essere uomo per tutte le stagioni», aveva detto. Da un anno si era imbarcato in una missione impossibile. Forse illudendosi a sua volta che regalando la speranza di tenere a galla l’Alitalia (e per Atlantia sarebbe stata la terza volta in dieci anni) si sarebbero potuti tenere insieme ancora i cocci. Ma il 17 settembre 2019, da quelle sue parole, è chiaro che si è giunti alla svolta. Anche se in realtà la svolta è avvenuta molti mesi prima: con la scomparsa di Gilberto Benetton, il protagonista della cosiddetta “diversificazione”.
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Gilberto benetton aveva voluto spostare il baricentro degli interessi del gruppo veneto dalla manifattura tessile ai servizi pubblici, approfittando delle privatizzazioni. Prima le autostrade, poi gli aeroporti. Con la ciliegina sulla torta: una partecipazione dell’11,6 per cento della sua srl di famiglia, Regia, nella società Investire sgr controllata dalla famiglia Nattino che gestisce il Fondo immobili pubblici. Un investimento che poteva rendere un sacco di soldi, soprattutto se la politica è così debole e compiacente da garantire tariffe stellari senza alcun rapporto con la qualità. E per di più si piega agli interessi privati al punto da creare per legge, nel 2011, un’Autorità di vigilanza sui trasporti che però non ha potuto mettere bocca fino al crollo del viadotto Morandi sulle concessioni autostradali in essere. Né sugli Aeroporti di Roma, gestiti guarda caso da Atlantia. Dire che gli altri fratelli non fossero d’accordo, a cominciare dal capostipite Luciano, sarebbe oltraggioso. Ma che avessero punti di vista diversi su come gestire certe partite, può essere anche normale in una dialettica familiare.
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Scomparso Gilberto, è quindi ricomparso Gianni Mion, il manager veneto che lo aveva afl’lancato per lunghi anni, ma che poi quattro anni fa era uscito di scena. Lasciato il gruppo Benetton, era diventato presidente della Banca popolare di Vicenza, sperando in una fusione con Veneto Banca, entrambe fallite. Nominato il 24 giugno 2019 presidente di Edizione holding, la cassaforte di famiglia, adesso è lui che detta di nuovo la linea. In uno dei momenti più difficili nella storia dei Benetton, dove la preoccupazione massima è prendere le distanze da quanto è accaduto. E poi c’è un’altra lettera: quella con cui Luciano, all’inizio di dicembre, ha sostenuto di ritenere la famiglia parte lesa, scaricando le responsabilità su «un management che si è dimostrato non idoneo, che ha avuto pieni poteri e la totale fiducia degli azionisti e dl mio fratello Gilberto». Una iniziativa clamorosa comprensibilmente bersagliata da violente critiche ma che è parsa anche il frutto di una nuova strategia.