Ricercatore e attivista di origini egiziane, scopriamo chi è Patrick Zaki, arrestato e torturato senza apparente motivo in Egitto
All’anagrafe Patrick George Michael Zaki Suleiman, è un ventisettenne originario di al-Mansoura, in Egitto. A quattro anni dal caso di Giulio Regeni siamo ancora una volta di fronte al fantasma della tortura e dell’ingiustizia.
Il ricercatore
Il giovane, ricercatore per i diritti umani, è parte del programma Gemma all’università di Bologna. Per il programma Erasmus Mundus dell’Unione Europea prende parte al master in studi di genere e delle donne, Master coordinato dall’Università di Granada. Il giovane appartiene alla comunità cristiana copta. Probabilmente il suo caso rientra nei tanti casi simili di violenza contro i copti e contro gli attivisti ed i ricercatori che accadono troppo spesso all’aeroporto de Il Cairo. Da sempre impegnato nel campo dei diritti umani, nel 2017 aveva iniziato a lavorare per l’Egyptian Initiative for personal rights, una tra le più grandi organizzazioni egiziane per i diritti. Aveva interrotto la collaborazione quando era partito per Bologna per potersi dedicare ai suoi studi.
L’arresto e la detenzione di Patrick Zaki
Era il 7 febbraio quando il giovane ricercatore, che rientrava da Bologna alla sua città natale per una breve vacanza, è stato fermato all’aeroporto. La NSA lo ha arrestato senza un apparente motivo, bendato e ammanettato, e gli agenti lo hanno sottoposto ad un interrogatorio di 17 ore. Oggetto dell’interrogatorio il suo lavoro nell’ambito dei diritti umani. Le accuse contro Patrick Zaki vanno da diffusione di notizie false a istigazione alla violenza e ai crimini terroristici a incitamento alla protesta. Pare che durante l’interrogatorio il giovane abbia subito violenze psicologiche e minacce, e sia stato vittima di torture con scosse elettriche oltre che vittima di pestaggio.
La detenzione
Già il giorno successivo all’arresto i giudici del tribunale di al-Mansoura hanno deciso per la detenzione di 15 giorni in attesa delle indagini. A quanto pare le accuse fanno riferimento ad alcuni post che il giovane ricercatore ha pubblicato su facebook, ma nemmeno il suo avvocato ha avuto il permesso di esaminare i post in questione. Detenuto a Talkha, vicino alla sua città d’origine, il giovane ha comunque potuto vedere la sua famiglia in attesa di tornare in tribunale, il prossimo 22 febbraio.
Intanto in Italia si sono moltiplicate le iniziative a sostegno della sua liberazione, non solo a Bologna, dove studia, ma in tutta la penisola. Tra il 14 e il 19 febbraio sono previsti sit in e mobilitazioni da Pescara a Verona, passando per le principali città.