Si vive una volta sola, il nuovo film di Carlo Verdone, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 27 Febbraio. Nell’attesa, rivediamo alcune delle scene più divertenti della sua lunga filmografia.
Il nuovo film di Carlo Verdone, Si vive una volta sola, racconta di un quartetto di medici diventati particolarmente amici dopo i tanti anni passati insieme in sala operatoria. Purtroppo i quattro, stimati professionisti, tanto da aver conquistato anche la fiducia del Papa, non sono altrettanto bravi nelle loro relazioni private. Così, quando toccherà a loro dare una cattiva notizia ad un caro amico del team, si riveleranno comicamente inadatti a farsi “messaggeri” di un annuncio di tale gravità. Nell’attesa di rivederlo al cinema, ripercorriamo le scene più iconiche della lunga filmografia di Carlo Verdone.
Diventato uno dei tormentoni più noti dell’intera filmografia di Carlo Verdone, il motto araldico della coppia formata da Ivano, coatto di famiglia arricchita, e Jessica, sua sposa, esattamente identica a lui, dal 1995 (anno di uscita di Viaggi di nozze) ad oggi non ha smesso di essere costantemente citato. Nel film i due, per risolvere una crisi nata da un rapporto sessuale fallito, sperimentano un metodo singolare di riavvicinamento: fingono di essere due totali sconosciuti.
Ruggero di Un sacco bello è un hippie convinto di aver avuto una visione mistica, dopo la quale decide di cambiare completamente vita e di trasferirsi in una comunità in Umbria per un ritiro spirituale. Nella comunità si pratica l’amore libero e si professa il “distacco dal mondo materialistico”. Trovandosi a Roma con la sua ragazza Fiorenza, decide di incontrare suo padre (il grandissimo Mario Brega, volto storico del cinema di Verdone e di Sergio Leone) per spiegargli il suo radicale cambiamento. Alla conversazione partecipano anche il prete Alfio e il cugino Anselmo: un divertentissimo quanto surreale dialogo tra sordi.
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“Lavori troppo di polso e usi male l’avambraccio, permetti?”, è la frase con cui all’inizio del film Troppo Forte, il grezzo Oscar Pettinari si impadronisce del flipper di un bar. La sua tecnica effettivamente è impeccabile e si mette in pratica con una serie di spinte del bacino (“non è il polso che deve dare la spinta alla pallina, ma è il ventre”). Per girare la scena, una delle più esilaranti di sempre, Carlo Verdone ha spesso raccontato di essersi fatto parecchio male a furia di colpire il flipper, tanto da riportare lussazioni e lividi su tutto il corpo dopo le riprese. Ma con quel sistema “il tilt te lo magni”.
Se c’è una scena che più di altre è entrata definitivamente nell’immaginario collettivo è quella in cui l’ossessivo Furio (carnefice della povera e indifesa Magda: “è vero che tu mi adori?”) chiama l’Aci (Automobile Club d’Italia) per avere informazioni sul traffico. L’operatore del centralino perderà presto la pazienza e la conversazione terminerà con un grido liberatorio (quello che la sua consorte ha tentato sempre di trattenere).
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La scena finale di C’era un cinese in coma è forse una delle conclusioni migliori della filmografia di Verdone. La barzelletta è divertente, ma l’epilogo della vicenda non lo è altrettanto. Un contrasto perfetto, enfatizzato dalla colonna sonora di Moby (il brano è Porcelain).
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